Fino a non molto tempo fa l'opportunità di osservare un Fistione turco, anatra colorata come un uccello esotico, era un avvenimento raro. Attualmente, essendo divenuto più comune, capita però di osservarlo anche in acque aperte come sul Lario. Così è avvenuto pochi giorni fa a Varenna (LC) dove questa splendida macchia di colore si è fermata per alcune ore prima di riprendere il suo viaggio migratorio.
Maschio e femmina di Fistione turco, aprile, Varenna.
Il Fistione turco appartiene all’ordine dei Anseriformi, Famiglia degli Anatidi ed è una specie monotipica.
Femmina e maschio di Fistione turco, aprile, Varenna.
Il nome scientifico del Fistione turco è Nétta rufina (Pallas, 1773) che deriva dal greco nétta = anitra e rufina, forma aggettivale del vocabolo latino rúfum = rossiccio, per il colore rosso cannella del capo del maschio adulto in primavera. Il nome volgare Fistione è dato dal particolare suono provocato dalle ali durante il volo mentre turco deriva dalla sua regione di origine, la Turchia.
Maschio, giugno, provincia di Lecco.
A partire dalla fine dell’Ottocento questa specie ha iniziato un processo lento e graduale di espansione dell’areale verso Ovest, che l’ha portata a colonizzare gran parte dell’Europa centro-occidentale. Tale fenomeno, forse legato ai cambiamenti climatici verificatisi in corrispondenza degli ambienti steppici e semidesertici dell’Europa orientale e dell’Asia, non è stato sufficiente a compensare il declino osservato sin dagli anni ’70 del XX secolo delle popolazioni nidificanti nella regione del Mar Nero, che costituiscono una delle principali roccaforti di questo Anatide. Per questa ragione, attualmente, lo stato di conservazione del Fistione turco in Europa è considerato sfavorevole.
Questa specie è presente dalla Cina nord-orientale alla Turchia, mentre più a Ovest l’areale si frammenta interessando vari paesi dell’Europa centrale e la Spagna centro-meridionale. Piccole popolazioni isolate vivono anche in Europa nord-occidentale, dall’Inghilterra alla Polonia; è possibile, tuttavia, che in larga misura esse derivino da individui immessi intenzionalmente dall’uomo o fuggiti dalla cattività.
Le aree di svernamento sono ubicate nel Sud Est asiatico, in India, nella regione caspica, in Medio Oriente e in corrispondenza dei bacini del Mar Nero e del Mediterraneo. Nel Paleartico occidentale i quartieri invernali più importanti si trovano in Spagna, in Francia meridionale e in Romania. In Italia compare regolarmente, benché in piccoli numeri, durante le migrazioni, in ottobre-novembre e in febbraio-marzo.
In Italia il Fistione turco è parzialmente sedentario e nidificante con poche coppie in Sardegna mentre sul territorio nazionale sono presenti altri piccoli nuclei probabilmente frutto di interventi di rilascio di soggetti provenienti da rilasci incontrollati.
Osservazioni di Fistione turco in Italia nel 2013. (Fonte Ornitho.it)
In provincia di Lecco è presente come sedentario sul Lago di Garlate e lungo il Fiume Adda dove vi nidificò per la prima volta nel 2000. Le origini di questo piccolo nucleo di Fistioni turchi sono di incerta provenienza.
Femmina di Fistione turco con giovani di pochi giorni, giugno, provincia di Lecco.
Per la riproduzione il Fistione turco predilige zone umide, ampie e con acque abbastanza profonde, caratterizzate da abbondante presenza di vegetazione sommersa da cui ne trae il principale nutrimento. La femmina cova una volta all'anno 8-10 uova per circa 20 giorni.
Femmina di Fistione turco con giovane di alcuni giorni, giugno, provincia di Lecco.
Giovane di Fistione turco, giugno, provincia di Lecco.
Evidente il dimorfismo sessuale: il maschio ha la testa bruno-rossiccia con piume erettili sulla sommità mentre la femmina ha il mantello bruno-rossiccio, con guance biancastre. Durante la muta del piumaggio, il maschio assume l’abito eclissale e il suo aspetto si confonde facilmente a quello della femmina tranne per il becco che resta di un intenso coloro rosso corallo.
♂ Abito riproduttivo, aprile, Varenna.
♂ Abito eclissale, luglio, Lago di Ginevra.
Le anatre si dividono in due gruppi: quelle di superficie, come il Germano reale, e quelle tuffatrici. A quest’ultimo gruppo appartiene il Fistione turco.
Fistione turco mentre si tuffa alla ricerca del cibo. Maggio, provincia di Lecco.
I Fistioni turchi si nutrono principalmente di piante acquatiche.
Una particolarità unica solamente a questo uccello tra gli altri del gruppo delle anatre è da segnalare: il maschio durante il corteggiamento offre il cibo alla femmina.
Maschio e femmina di Fistione turco in riposo, aprile, Varenna.
Bibliografia
Brichetti P. & Fracasso G., 2003. Ornitologia Italiana Vol. 1 – Gavidae-Falconidae, Oasi Alberto Perdisia Editore, Bologna
Moltoni E., 1946, L’etimologia ed il significato dei nomi volgari e scientifici degli uccelli italiani – Milano
Spagnesi M. & Serra L, 2005. Uccelli d’Italia – Quaderni di Conservazione della Natura Numero 22, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “Alessandro Ghigi”
Numerose sono le tradizioni e le leggende legate ai fiori, solo pochi giorni fa su libereali si è parlato della tradizione giapponese "Hanami" legata alla fioritura dei ciliegi.
Cercis siliquastrum volgarmente chiamato “Albero di Giuda” o “siliquastro”
In occidente non esiste nessuna tradizione paragonabile a quella nipponica, sia per la partecipazione che per il profondo senso dato all’evento, ma è possibile portare alcuni esempi relativi al legame tra specie vegetali e leggende fantasiose. Uno di questi è il Cercis siliquastrumvolgarmente chiamato “Albero di Giuda” o “siliquastro”che sarà l’argomento di questo post.
In botanica il nome Cercis siliquastrum deriva dal greco cercis = ago o spola, in riferimento alla forma dei frutti. Assume il nome comune in “Albero di Giuda” per un’antica credenza secondo la quale, Giuda Iscariota si impiccò ad uno dei suoi rami, in seguito al tradimento a Gesù Cristo. Decisamente più appropriata è la denominazione data dai francesi, che assegnano a questo albero il nome “arbre de Judée” che significa “albero di Giudea”, per via delle sue origini geografiche poste tra l'Asia Minore e l'Europa del sud.
Il Cercis siliquastrum appartiene alla famiglia delle leguminose, è un albero dalle medie dimensioni e grazie alla sua resistenza è molto utilizzato nei viali alberati cittadini che diventano particolarmente gradevoli durante la fioritura.
I fiori del Cercis siliquastrum, hanno una caratteristica singolare, infatti sono gli unici a sbocciare in gruppo sul legno spoglio prima della comparsa delle foglie.
Curiosità gastronomica In alcune aree italiane è usanza conservare i fiori di Cercis siliquastrum sott’aceto, oppure consumarli fritti con la pastella o, meglio ancora, gustarli crudi nelle insalate miste o nelle macedonie di frutta, alle quali conferiscono un effetto visivo gradevole.
Presto l’esplosione del rosa dei fiori lascerà posto alle foglie e sul suolo resterà un effimero tappeto di fiori che al primo alito di vento scomparirà.
Il suolo ricoperto dai fiori appassiti di Cercis siliquastrum
Non c’è dubbio, anche i più distratti o disinteressati sanno che la primavera è la stagione principale per udire il canto degli uccelli. Non tutti forse sanno però perché gli uccelli cantano. Scopo di questo post è dunque affrontare un tema affascinante ma complesso in maniera semplice.
Tutti gli uccelli possiedono un repertorio di vocalizzazioni per comunicare fra loro informazioni su pericoli, cibo, sesso, spostamenti in gruppo e per molti altri scopi.
Il canto degli uccelli in genere, ma non sempre, è una prerogativa del sesso maschile dipendente dagli ormoni androgeni. Il canto consiste di una serie di suoni prodotti dalla siringe, un particolare organo posto tra la trachea ed i bronchi, che al passare dell’aria vibra allo stesso modo delle nostre corde vocali.
Praticamente tutti gli uccelli comunicano con suoni: dallo sbattere delle mandibole delle cicogne alla melodia di un usignolo.
Cicogna bianca Ciconia ciconia
I picchi, invece, comunicano più frequentemente tambureggiando sui tronchi con il becco.
Picchio rosso maggiore Dendrocopos major
Il Fagiano comune, oltre al rauco canto, si caratterizza anche scuotendo con fragore le ali.
Fagiano comune Phasianus colchicus
Il canto nel vero senso della parola spetta principalmente ai Passeriformi e tra questi i Turdidi sono i più melodiosi. Basti pensare che il canto dell’usignolo viene così descritto sul dizionario: Usignolo: Piccolo uccello dal piumaggio bruno-rossiccio; ha un canto melodioso e penetrante con una varietà di gorgheggi eccezionale – Locuzione: Cantare come un usignolo, con voce melodiosa, nitida e dolcissima.
Usignolo Luscinia megarhynchos
La prerogativa del canto spetta al maschio, il quale durante la stagione riproduttiva investe molto tempo in questa attività che porta con sé un duplice significato: cantando a lungo dimostra alla femmina il suo ottimo stato di salute e dimostra anche la favorevole disponibilità alimentare del suo territorio. Inoltre con il suo canto territoriale avverte gli altri maschi rivali di stare lontani.
Il Tordo bottaccio Turdus philomelos, normalmente vive nel folto del bosco, in primavera si posa ben in vista mentre canta per delimitare il suo territorio.
Gli uccelli, tuttavia, vocalizzano per una varietà di altre ragioni. Ad esempio, i canti servono a mantenere il contatto con la femmina, soprattutto nel periodo della cova e di allevamento della prole. I maschi si posano in un luogo ben visibile, da cui controllano che nessun predatore si avvicini e così comunicano con il canto alla compagna che tutto è tranquillo. Se invece si avvicina un qualsiasi pericolo, il canto si trasforma in suoni di allarme. Sono il tono, la frequenza e la durata a specificare l’urgenza del messaggio.
Merlo: canto
Merlo: allarme
Durante la stagione non riproduttiva, il canto si trasforma in vocalizzi di contatto, soprattutto nelle specie gregarie. Altri suoni sono emessi per avvisare gli altri elementi del gruppo in presenza di pericoli e fungono come allarmi.
Il Codibugnolo, Aegithalos caudatus, è molto gregario durante la stagione invernale. Con i membri del suo gruppo è solito tenersi in contatto attraverso il suo caratteristico richiamo.
Se per la melodia del canto, a detta di molti, il più bello spetta all’usignolo, allo scricciolo spetta il primato considerando il rapporto di minuta corporatura che lo caratterizza e la potenza del suono emesso.
Scricciolo Troglodytes troglodytes, (video di Luciano Mingarelli)
Essendo un vero e proprio linguaggio composto da suoni di varie frequenze, il canto subisce l’ influenza dialettale in funzione ad una limitata area geografica. Infatti gli uccelli non solo sanno riconoscere un appartenente alla loro stessa specie ma sono anche capaci di capire se è “forestiero”.
La produzione del canto è guidata da tracce acustiche in memoria contenute nel cervello che codificano le caratteristiche specie-specifiche e consentono il processo di apprendimento. Gli etologi hanno stabilito che i giovani uccelli imparano i loro canti in quattro fasi: Le prime due fasi sono dette silenziose poiché i giovani restano in ascolto per imparare dagli adulti. Nella prima fase che dura da due a dodici mesi, a seconda delle specie, i piccoli imparano la struttura, il passo e le variazioni. Nella seconda fase che dura sino ad otto mesi, apprendono sillabe o frasi. Nella terza fase iniziano ad ascoltare se stessi confrontando le loro performance con quanto appreso sino a quel momento. Nell’ultima fase (detta “cristallizzazione”) le frasi e i canti sono stabilizzati e corredati da piccole personalizzazioni che trasformano i giovani in adulti riconoscibili dagli altri componenti della stessa specie.
In alcune specie, durante questa fase di apprendimento, avviene un fenomeno di imitazione del canto, dei rumori o di vere e proprie vocalizzazioni umane, come nel caso dei pappagalli. Altri uccelli come la ghiandaia, la cannaiola verdognola, la capinera e molti altri hanno invece l’abitudine di imitare il canto di altre specie. Perché questo avvenga è ancora sconosciuto ma interesse di studi contemporanei.
Personalmente, sono stato anche io ingannato durante una mia uscita invernale da uno Storno, artefice di una precisa imitazione del canto del rigogolo. Poiché però quest’ultimo in quel periodo si trovava a svernare in Africa, ho indagato curiosamente fino a scoprire che si trattava appunto del bravo imitatore e non dell’originale.
Lo Storno Sturnus vulgaris è uno dei più comuni imitatori del canto di altri uccelli.
Per chi fa birdwatching è importantissimo saper riconoscere il canto degli uccelli. Spesso nascosti nella folta vegetazione, la loro presenza è segnalata solo dal canto: un esempio è l’usignolo di fiume, molto vocifero ma praticamente invisibile.
Usignolo di fiume Cettia cetti
Mettiamoci alla prova : sul sito di Vogelwarte, un simpatico gioco a più livelli per riconoscere i canti LINK
Anche la lingua italiana sottolinea l’estrema peculiarità di alcuni canti di uccelli associando un verbo specifico ad una specie, come ad esempio la rondine che garrisce o il gracchiare della cornacchia.
Rondine Hirundo rustica
Quanto cantano gli uccelli? Il ricercatore Hans-Heiner Bergmann e il suo gruppo ha controllato sull’arco di un’intera giornata 23 maschi di fringuello. Il record è stato raggiunto da un maschio con 4546 strofe, mentre la media è di 2200 strofe al giorno, pari a circa 1 ora e mezza al giorno. (fonte vogelwarte)
Fringuello Fringilla coelebs
L’uomo ha sempre avuto una particolare attenzione al canto degli uccelli. Basti pensare alla diffusissima pratica della detenzione in gabbia per poterne godere del loro canto. Comune a questo scopo è l’allevamento del canarino di cui se ne è già parlato su questo blog LINK
Molti musicisti hanno cercato di trasformare in concerti strumentali i canti degli uccelli, tra questi nel '500 Clement Janequin scrisse una chanson "descrittiva" intitolata proprio "Le chant des oiseaux".
Brano tratto da Le chant des oiseaux
Dal blog musica e ambiente, riporto il seguente elenco di compositori che hanno scritto, con intenti sia comici che descrittivi ed evocativi, riferendosi agli uccelli sono:
Adriano Banchieri: contrappunto bestiale alla mente Girolamo Frescobaldi : Capriccio sopra Cucho Bernardo Pasquini: Toccata con lo scherzo del Cucco François Couperin: in "L'art de toucher le Clavecin" brani dedicati all'usignolo, al canarino, alla capinera, al fringuello, al cuculo Antonio Vivaldi: Il Cardellino (concerto per flauto e archi); e L'Estate da Le Quattro Stagioni Ludwig van Beethoven: Sinfonia N° 6 "Pastorale, secondo mov. Usignolo, Quaglia e Cuculo imitati rispettivamente da flauto, oboe e clarinetto Franz Joseph Haydn: Sinfonia N° 38 "La Poule" Richard Wagner: motivo dell'Uccello de Bosco nel Sigfrido Camille Saint Saëns: Il Cigno, Galli e Galline, Voliera, Il Cuculo nel fondo del Bosco, in Il Carnevale degli Animali Igor Strawinsky: Le Rossignol; L'Uccello di fuocoùHeitor Villa-Lobos: Uiraparù Maurice Ravel: Oiseaux Tristes
La personalità musicale del '900 che però ha studiato e usato il canto degli uccelli non con fini comici o semplicemente descrittivi, ma considerandoli un mezzo di avvicinamento alla natura intesa come fonte primigenia del suono è Oliver Messiaen, organista e compositore francese vissuto tra il 1908 ed il 1992. Dopo un periodo di studi tecnico-filosofici sui modi intervallari e ritmici, agli inizi degli anni '50 Messiaen rivolge la sua attenzione al "massimi musicisti". Già in lavori passati si ritrova la presenza di questi materiali usati come oasi distensiva in un contesto più serratamente speculativo (es. Choeur des alouettes nella Sortie della Messe de la Pentecôte). Le Merle noire per Of e flauto (1950), Reveil des oiseaux per Pf, e orch (1953), Oiseaux exotiques per Pf e strumenti (1956), Catalogue d'oiseaux per Pianoforte (1956 - 58) sono alcuni titoli in cui vengono usati i canti degli uccelli. "Per me - dice Messiaen - l'unica autentica musica è sempre esistita nei rumori della natura. Il suono armonioso del vento negli alberi, il ritmo delle onde marine, il timbro delle gocce di pioggia, dei rami spezzati, dell'urtarsi delle pietre, dei vari gridi di animali costituiscono per me la vera musica". Ma Messiaen non fa del "naturismo", non ricerca effetti descrittivi o onomatopeici, bensì utilizza elementi melodici e ritmici trasformandoli in impalcatura strutturale delle sue composizioni.
Una popolare filastrocca dice:
L'inverno se n'è andato, l'Aprile non c'è più; è ritornato Maggio al canto del cucù:
Cu-cù, cu-cù, l'Aprile non c'è più, è ritornato Maggio al canto del cu-cù.
Cuculo Cuculus canorus
Sarà stato questo canto di primavera che avrà stimolato Franz Ketterer, orologiaio tedesco nativo di Schönwald nella Foresta Nera, che nel 1738 pare abbia inventato l’orologio a cucù, inserendo una suoneria composta da due flauti alimentati da un mantice imitante il verso del cuculo.
Curiosità: il chioccolatore, imitatore del canto degli uccelli
Si ringrazia Maurizio Alberti per la consulenza musicale.