giovedì 24 dicembre 2015

I meandri del Fiumelatte, un sogno realizzato

In passato ho scritto due post dedicati al Fiumelatte e alle sue spumeggianti acque (LINK e LINK), ora siamo a dicembre ed il fiume che si presenta tanto impetuoso in estate, ora è a riposo. Per la gente del posto, era tradizione in questo mese sfruttare l'occasione della secca del fiume per raccogliere il soffice muschio ideale per l’allestimento del presepe, i miei ricordi d'infanzia mi riportano a quei lontani giorni dove tra leggende e fantasie popolari il Fiumelatte restava un mistero impossibile da svelare.

Sono trascorsi tanti anni e complici il perdurare della siccità e la compagnia di amici fidati che mi hanno guidato, finalmente ho potuto anche io varcare l’ingresso della grotta del Fiumelatte, provando l’emozione, anche se solo per un breve tratto, di trovarmi nei meandri sotterranei di questo enigmatico fiume.

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Il corso del Fiumelatte in secca ricoperto di morbido muschio.

 

 

 

 

 

Sulla riva orientale del Lago di Como, nel tratto in cui lo specchio d'acqua ha la sua maggiore larghezza, e a poco più di un chilometro a sud di Varenna, nasce e si getta nel lago il Fiumelatte, che al contrario del suo nome non si tratta di un fiume ma di un torrente. E' considerato geologicamente una grossa sorgente carsica temporanea, attiva quasi regolarmente da marzo a novembre con variazioni di portata dipendente dalle condizioni climatiche. Dalla cavità principale, quando la sorgente è attiva, sgorga un grosso torrente che essendo in forte pendenza scende spumeggiando nel lago per un tratto di circa 250 metri. La grotta ha tre ingressi: quello inferiore è il principale dove fuoriesce il torrente, il secondo ingresso è posto poco più in alto sulla sinistra rispetto al primo e il terzo ingresso è ancora più a sinistra.

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Ingresso principale della grotta del Fiumelatte dove fuoriesce il fiume. Causa lavori, è stato rimosso il cancello posizionato all’ingresso della grotta.

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Ingresso secondario dalle ridotte dimensioni (cm 40 x 60).

 

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In evidenza all’imbocco della Grotta la faglia che delimita il Calcare di Perledo – Varenna al Calcare di Esino (Ladinico)8.

 

 

 

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Masso in Calcare di Perledo – Varenna

 

 

 

 

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Ingresso della grotta visto dall’interno.

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L’interno della grotta è costituito da un intreccio di gallerie dove non è sempre facile orientarsi.

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Una pozza di acqua cristallina.

 

 

 

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La lenta percolazione dell’acqua
attraverso le rocce calcaree.

 

 

 

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Recentemente L’Associazione Scanagatta di Varenna ha pubblicato in copia anastatica un'interessante serie di articoli dedicati al Fiumelatte editi negli anni passati1-2-3-4. Sono trascorsi tanti anni e gli studi su questo fiume hanno portato a nuove scoperte e considerazioni ma la scrittura chiara, breve e precisa ha reso questi lavori ancora attuali.


Il Fiumelatte fu motivo di interesse sin dal passato, il primo a parlarne fu Leonardo da Vinci nel Codice atlantico, dove ricorda il suo viaggio sul Lago di Como, pare che due sole cose lo abbiano colpito: la fonte Pliniana e il Fiumelatte. Egli però, quasi certamente non visitò il nostro fiume, ma più probabilmente lo ammirò da Bellagio dove si ritiene fosse ospite del marchese Stanga nella sua sontuosa villa. Del suo soggiorno a Bellagio, Leonardo ha lasciato scritto un solo periodo che è tutto dedicato al Fiumelatte. Ecco integralmente, quanto ha scritto: “A riscontro a Bellagio castello è il fiume lacteo il quale cade da alto...
più che braccia cento dalla vena donde nasce a precipizio nel lago con inestimabile strepito e romore - questa vena versa solamente agosto e settembre”. Se Leonardo si fosse recato a Fiumelatte, avrebbe certamente parlato della grotta e sarebbe stato meglio informato sui periodi d'intermittenza del corso del fiume.

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Nel XIX secolo il Fiumelatte era una delle mete del Grand Tour, un lungo viaggio nell'Europa intrapreso da ricchi aristocratici, è questo il motivo per cui esistono una notevole quantità di stampe che raffigurano questo fiume.
Riproduzioni di stampe sul Fiumelatte: Archivio Associazione Culturale “L. Scanagatta” – Varenna.

 

Leonardo fu il primo a citare il Fiumelatte, ma quello che ha lasciato perplessi alcuni studiosi e storici del passato fu che Plinio (LINK), osservatore diligente, non abbia notato questo particolare torrente. Ciò non è da escludersi, come non è impossibile che ai tempi di Plinio il fiume scorresse occulto per la cieca caverna fino al lago o più semplicemente Plinio, pur avendolo notato, non abbia creduto di dargli una particolare importanza.

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Dopo Leonardo vi fu nel corso dei secoli un lungo elenco di studiosi che ipotizzavano le più svariate teorie sull'intermittenza del corso di questo fiume e la provenienza delle sue acque, tra questi quello che più si avvicinò alle attuali conoscenze fu Girolamo Serra nella sua teoria sui confluenti del Lario4: dopo aver respinto gli argomenti che davano la provenienza delle acque del Fiumelatte come fossero “generate dalle viscere fonde della terra”, Girolamo Serra ha sostenuto che le acque fossero prodotte dallo scioglimento delle nevi e dalle piogge.
Il Serra ha informato anche che nel 1383 tre abitanti del luogo vollero entrare nella grotta per rimontarla sino alle sorgenti del fiume, ma inol0391 (Small)tratisi troppo nell'interno si smarrirono e dopo aver vagato giorni senza aver potuto rintracciare la via d'uscita, morirono di sfinimento. Di questo vano tentativo di ricognizione della grotta ha fatto qualche accenno anche Paolo Giovio: sull'avvenimento la tradizione ci ha tramandato una graziosa leggenda che è stata posta in versi da Pietro Turati6. Un altro racconto del genere intessuto sulla tradizione è stato raccolto da Davide Bertolotti7 dove racconta di due cappuccini entrati nella caverna durante l'inverno, vi si smarrirono e non ne uscirono più vivi; nella primavera successiva, all'improvviso irrompere delle acque, furono visti comparire, travolti da esse, i due cadaveri.

 

Tra leggende e vane ricerche, bisogna attendere il XX secolo per intravvedere studi di rilevanza scientifica, l’ing. Giuseppe Guzzi “Nacco” fratello di Carlo fondatore della Moto Guzzi, nel 1921 e 1922 condusse le prime interessanti esplorazioni a carattere speleo-scientifico, il tutto mirato a studiare l’intermittenza di questo corso d’acqua; Guzzi fece approssimativamente il primo rilievo e ipotizzò l’esistenza di un grande complesso di cavità, una rete di canali appartenenti al Gruppo del Grignone.

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Rilievo della grotta del Fiumelatte realizzato da Giuseppe Guzzi nel 1921-22

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Guzzi stabilì un legame tra il Fiumelatte e la sorgente Uga situata una cinquantina di metri più in basso che eroga acqua tutto l’anno, e decretò quindi che il Fiumelatte non era altro che lo sfioratore ausiliare dello scarico normale della sorgente Uga. Ricerche attuali porterebbero ad una probabile ulteriore fuoriuscita di acque al di sotto del livello del lago ma questo è ancora tutto da dimostrare.

 

 

 

La sorgente Uga

 

 

Nel 1959 Roberto Pozzi scrisse un articolo intitolato “La Grotta del Fiumelatte – (1501 Lc – Co)”. Nell’articolo si ipotizzava che l’acqua del Fiumelatte provenisse dal Moncodeno, teoria confermata nel 1989 quando nell’Abisso “Viva le Donne”, situato a 2.170 metri di quota sulla Cresta di Piancaformia, venne utilizzato un colorante innocuo che comparve a Fiumelatte sei giorni dopo l’immissione.

Pag 14 (Medium)Sempre in quell’articolo si ipotizzò che una parte dell’acqua del Fiumelatte provenisse anche dal Torrente Esino: uno studio fatto all’epoca ha appurato che il fiume, a Varenna dove sfocia nel Lago di Como, aveva la portata inferiore di un terzo rispetto a quella riscontrata all’altezza della chiesa di Esino Lario, inoltre poco più a valle in località “Pianchitt” l’acqua del torrente scompariva per un fenomeno carsico.

Lo stesso fenomeno si verificava anche nel letto del torrente Ontragna, affluente dell'Esino, per questo motivo già allora si pensò che il Fiumelatte fosse alimentato dalle perdite dei due suddetti corsi d'acqua. Questa ipotesi venne confermata nel 20058, dove si dimostrò, analizzando le acque, che una parte di queste provenivano proprio dal Torrente Esino. Questo fenomeno fa supporre che il Fiumelatte sia a rischio di inquinamento in seguito agli scarichi urbani di Esino Lario.


Rilievo della Grotta del Fiumelatte realizzato da R. Pozzi e A. Binda. 1954-56

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In tempi recenti gli speleologi grazie anche ai speleo-sub9 sono riusciti a superare le barriere un tempo invalicabili della grotta fornendo nuovi dati. Rimane nel contempo altro da scoprire. Questa esperienza ha significato per me la realizzazione di un sogno.

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Il tramonto che ci ha accolti una volta fuori dalla grotta al termine del nostro viaggio nei meandri del Fiumelatte.

 

 

 

 


Bibliografia e siti web

1) Adami V., Il piu' corto fiume d'Italia. Rivista mensile del T.C.I. – gennaio 1921

2) Guzzi G., Alle origini del Fiumelatte, Le Vie d'Italia. 1922

3) Guzzi G., Il Fiumelatte. Come si spiega il fenomeno dell'intermittenza – Rivista mensile del C.A.I. volume LV n° 10 - 1936

4) Pozzi R., La Grotta del Fiumelatte (1501 Lo-Co) – Rassegna Speleologica Italiana, Como Anno XI – settembre 1959

5) Girolamo SERRA. - Mirabilia aquarum Lacus Lary theoria. - Comi, 1584.

6) Turati P., Le sette vergini del lago, pubblicato in “Como e il suo lago” Como, 1858.

7) Bortolotti D., - Viaggio al lago di Como. 1821.

8) Bini A., Bona F., Borghi S., Felber M., Tintori A., Turri S. - I Geositi dell’insubria – Un itinerario lungo 350 Milioni di anni - 2008

9) http://www.prometeoricerche.eu/GIGI/Report/fiumelatte_2012.htm

Siti Web interessanti:

InGrigna! http://ingrigna.altervista.org/progetto1/index.php

Fiumelatte http://www.fiumelatte.it/

martedì 22 dicembre 2015

Solstizio d’inverno

Oggi 22 dicembre alle ore 04:48 inizia l’inverno astronomico.

Un pianta caratteristica del nostro sottobosco in questo periodo è il pungitopo Ruscus aculeatus. Questa pianta è usata come addobbo natalizio delle nostre case in quanto considerata come simbolo di buon augurio per l’anno nuovo.

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Pungitopo Ruscus aculeatus

Tipica pianta perenne dell’area mediterranea, il pungitopo raggiunge mediamente i 70 cm di altezza. Quelle che sembrano foglie, in realtà, sono rami appiattiti terminanti con aculeo denominati “cladodi” che in parte sostituiscono le foglie nella fotosintesi clorofilliana. Al centro dei cladodi si sviluppano i fiori. Il frutto è una globosa bacca rossa contenete 1 o 2 semi.

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Il frutto del pungitopo acerbo e maturo

L`etimologia del nome volgare “Pungitopo” deriva dall’uso che se ne faceva un tempo. Questa pianta veniva infatti messa attorno alle provviste in modo da proteggerle dall’attacco dei topi grazie alle “foglie” pungenti. In alcune località italiane, era in uso la pratica agricola di disporre una corona di rami secchi di questa pianta ai piedi degli alberi da frutta per evitare che su di essi salissero i topi.

L’etimologia del nome scientifico deriva da Ruscus nome con cui gli antichi Romani chiamavano la pianta e aculeatus per via dei cladodi appuntiti e pungenti.

Una curiosità: fasci di pungitopo essiccati venivano usati dagli spazzacamini per pulire le canne fumarie.

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I pungenti cladodi

 

Pianta dalle diverse proprietà terapeutiche, è anche utilizzata in cucina. I germogli vengono consumati come ad esempio si cucinano gli asparagi ma attenzione alle bacche perché sono velenose e ingerirle può causare convulsioni.

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Oggi l’indiscriminata raccolta per il commercio come addobbo natalizio o per l’utilizzo culinario sta provocando un impoverimento della presenza di queste pianta che, per questo motivo, è stata inserita tra le specie protette in alcune regioni come la Liguria, la Lombardia e il Trentino-Alto Adige e severe disposizioni sono state emanate per limitarne la raccolta.

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domenica 22 novembre 2015

La civetta nana, il diavoletto della foresta

Questa prima parte di autunno è stata particolarmente calda e povera di eventi meteorologici tipici di questa stagione. Abbiamo infatti vissuto solo qualche sporadico episodio, come un’improvvisa nevicata notturna che ha imbiancato le cime lariane e che ha stimolato un’uscita su1-Civetta-nana_072l campo alla ricerca di qualche spunto fotografico. Il luogo scelto per questa passeggiata è stato il settore italiano della val Bregaglia (SO). Il panorama si presenta suggestivo con le fronde degli alberi imbiancati ed un improvviso gruppetto di piccoli passeriformi attira la mia attenzione e mi chiedo quale sia il motivo di tanta frenesia intorno a quella piccola “pigna” sull’albero. Il binocolo mi svela che la pigna non è altro che un Civetta nana (Glaucidium passerinum), il più piccolo rapace europeo! Bellissima osservazione e ottimo motivo per un post.

 

Civetta nana (Glaucidium passerinum)  

 

 

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Il suggestivo paesaggio imbiancato della Val Bregaglia (SO)

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Civetta nana (Glaucidium passerinum)

La civetta nana appartiene all’ordine dei Strigiformes, un gruppo di uccelli predatori dalle abitudini prevalentemente notturne o crepuscolari. In Europa, tra i rapaci notturni, è il Gufo reale a detenere la dimensione maggiore con i suoi 4 kg di peso e un’apertura alare di 2 metri, mentre la più piccola è la civetta nana che pesa circa 55-80 gr con un’apertura alare massima di 35 cm.

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Iconografia riguardante i rapaci notturni italiani.
Da sinistra in ordine di grandezza: Gufo reale, Allocco degli Urali, Allocco, Barbagianni,
Gufo di palude, Gufo comune, Civetta, Civetta capogrosso, Assiolo e Civetta nana.

Come detto precedentemente, la sistematica posiziona la civetta nana nell’ordine dei Strigiformi e nella Famiglia degli Strigidi. Il suo nome scientifico è Glaucidium passerinum. L’ornitologo Edgardo Moltoni, nel suo preziosissimo lavoro “L’Etimologia ed il significato dei nomi volgari degli uccelli italiani”, identifica Glaucidium come diminutivo della voce greca glaux che significa civetta mentre passerinum indica le dimensioni quasi simili a quelle del passero.

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La Civetta nana (Glaucidium passerinum) spesso ha l’abitudine di posarsi sulla cima degli alberi scrutando ciò che la circonda girando il capo e spesso scuotendo la coda. Le piume sul lato posteriore del capo disegnano un ”falso viso” che dovrebbe proteggerla dagli attacchi alle spalle.

 

 

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La civetta nana è una specie nordica strettamente legata all’ambiente della taiga con un’area di diffusione che parte dalla Norvegia e si estende sino alla Siberia orientale. Sulle catene montane (Giura, Alpi e Carpazi) è considerata un relitto glaciale. Questa specie non compie vere e proprie migrazioni ma alcune popolazioni più settentrionali compiono ciclicamente movimenti verso sud in anni poveri di prede.

Ambiente tipico della civetta nana sulle Alpi 

 

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Areale europeo della Civetta nana
da www.birdguides.com

In Italia la civetta nana è stazionaria e nidificante lungo l’arco alpino tra i 900 e i 2.000 m s.l.m. ma con una presenza frazionata e in alcune aree, specialmente quelle occidentali, è molto rara.

Questa specie sulle Alpi vive in preferenza in boschi umidi e piuttosto freddi di conifere o in quelli misti di conifere, pioppi e betulle. La nidificazione avviene in cavità naturali o più comunemente nei nidi scavati nei grossi alberi dal picchio rosso maggiore. Depone 3-5 uova bianche che cova per 28-29 giorni e i pulcini rimangono nel nido per 29-32 giorni, compiendo così una sola covata all'anno. L’aspettativa di vita della Civetta nana è di circa 7-9 anni

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Evidenziato in rosso l’areale italiano della civetta nana

La civetta nana caccia prevalentemente di notte, in estate, mentre per il restante periodo la sua attività inizia al crepuscolo. Si nutre di micro-mammiferi, piccoli uccelli, rettili e grossi insetti. Nonostante le sue piccole dimensioni, è una cacciatrice molto coraggiosa e dotata di grande agilità, molto abile e aggressiva che arriva a catturare prede più gradi di lei, come ad esempio il Picchio rosso maggiore. Questo piccolo rapace notturno ha l’abitudine di depositare le prede nelle cavità degli alberi come fossero una dispensa per i momenti difficili. 18-civetta nana_041

 

 

La civetta nana ha un volo battuto e planato,
silenzioso e ondeggiante.

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“Bioindicatore naturale” la civetta nana risente pesantemente dell’inquinamento atmosferico.

 

 

 

Conclusa la chiacchierata dedicata alla civetta nana, apro il capitolo riguardante l’atteggiamento dei piccoli passeriformi verso questo rapace. Su questo blog avevo già parlato di “mobbing1” (LINK) e in quell’occasione si era trattato di un gufo reale che era stato “mobbato” da un gruppo di cornacchie. Ecco il link del breve clip che avevo registrato a riguardo (LINK)

Nel caso odierno della civetta nana, le specie che hanno “mobbato” il potenziale pericolo sono state le cince, i rampichini e i regoli. Si può proprio quindi affermare che… ad ogni predatore la sua preda!

 

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Cincia alpestre e cincia dal ciuffo in “mobbing” verso la civetta nana.

Sin dai tempi antichi l’uomo ha notato questa particolarità ed ha, a suo modo, sfruttato questo comportamento per fini venatori. Presso il Museo Civico Archeologico "Eno Bellis" di Oderzo (TV) è esposto un frammento di mosaico di epoca tardoantica (fine III-inizi IV sec. d.C.) dove viene rappresentata “l’uccellagione con il vischio e la civetta”. Altro mosaico dove viene rappresentata la caccia con la civetta è visibile al Museo degli Argenti a Firenze. Queste raffigurazioni rappresentano un metodo di caccia in uso fino alla metà del secolo passato (tipo di caccia denominata “Con la pania” o “Vischio”). Si trattava di cospargere con la sostanza collosa ricavata dalle bacche del vischio tutti i posatoi posizionati nei pressi della civetta sulla gruccia. I malcapitati uccelli, attratti dal potenziale predatore, rimanevano appiccicati e dopo lunga sofferenza morivano. Un metodo cruento e ignobile ma purtroppo ancora in uso in alcuni paesi e da molti bracconieri.

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Uccellagione con la civetta sulla gruccia (sec. III d.C), Museo Civico Archeologico "Eno Bellis" di Oderzo (TV)

 

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Civetta e altri uccelli su un ramo di quercia, micro mosaico conservato presso il Museo degli argenti, Palazzo Pitti, Firenze.

 

Auguriamoci che questa pratica di caccia diventi ora solo un ricordo e che il “mobbing” resti un fenomeno da osservare con stupore in una natura libera e protetta.

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1Il termine mobbing è stato coniato agli inizi degli anni settanta dall’etologo Konrad Lorenz per descrivere un particolare comportamento di alcune specie animali che circondano, in gruppo, un proprio simile e lo assalgono rumorosamente per allontanarlo dal branco. In ornitologia, mobbing indica anche il comportamento di gruppi di uccelli nell’atto di respingere un rapace loro predatore.


Riferimenti bibliografici

L'etimologia ed il significato dei nomi volgari e scientifici degli uccelli italiani – Edgardo Moltoni – Milano 1946.

Brichetti P. & Fracasso G., 2006. Ornitologia Italiana. Vol. 3 - Alberto Perdisia editore, Bologna.

Ghidini L., Il libro dell’uccellatore, 1925, Editore Ulrico Hoepli