giovedì 15 maggio 2014

Il rugolio del gallo forcello

È notte fonda quando ci rechiamo nei pressi di una prateria alpina, l’aria è frizzante e la volta celeste è un ricamo di stelle che altrove non si potrebbe scorgere per via dell’inquinamento luminoso. Lo sguardo ricade sullo scuro profilo dei monti lecchesi. Siamo appostati ben nascosti in silenzio perché ci siamo recati qui per osservare il Fagiano di monte o detto anche Gallo forcello.

1 La nostra presenza deve essere discreta se vogliamo assistere alla parata nuziale che avviene in luoghi denominati “arene” dove i maschi nel mese di maggio si mettono in mostra con rugolii e soffi, saltelli, piccoli voli ed esibizioni del piumaggio soprattutto nelle primissime ore del mattino, un’esibizione tra le più affascinati osservabili sulle Alpi.

2_Fagiano di monte (17) Maschio di Fagiano di monte Tetrao tetrix, maggio, Provincia di Lecco

Comincia ad albeggiare quando avvertiamo in lontananza il rugolio di un esemplare maschio, l’emozione ci assale, con la tenue luce dell’alba riusciamo a scorgere un bellissimo maschio in “parata nuziale”, la soddisfazione è tanta ma purtroppo dobbiamo constatare amaramente che in questa “arena” oggi ha cantato solo l’esemplare che abbiamo visto noi.

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Purtroppo, l’assenza di altri esemplari è collegata alla graduale scomparsa del Fagiano di monte sulle aree alpine e prealpine. Diverse sono le cause di questa recessione numerica, tutte provocate dall’uomo direttamente o indirettamente, tra queste la più deplorevole e anacronistica è la caccia, che sta portando il Fagiano di monte all’estinzione dalla catena Alpina.

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Già nel lontano 1906 l’ornitologo Giacinto Martorelli sottolineava quanto la pratica venatoria verso il Fagiano di monte era da condannare: “…causa la sregolata ed eccesiva caccia, in molti luoghi si contano le sue scarse famiglie, onde è facile comprendere come queste, ridotte ad alcuni punti isolati e ristretti dei versanti alpini, debbano riprodursi “inter se”, non potendosi allontanare dalle loro dimore senza incorrere nel gravissimo pericolo dei cacciatori. Viene così a mancare quello scambio tra individui non consanguinei che è necessario a conservare la vigorità delle generazioni e quindi la scomparsa della specie segue in breve termine. …Quando le nostre Alpi avranno perduto anche questo magnifico Gallinaceo, mancheranno del più bello fra i selvatici loro propri!” Oggi la caccia in periodo primaverile è vietata ma resta comunque la principale fonte di pericolo per questa specie.

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…Io non potrò mai dimenticare la immensa meraviglia che provai la prima volta che un maschio adulto di questa specie, levatosi a pochi passi da me, in un’alta brughiera, con volo rapido e potente e luccicando al sole coi suoi azzurri riflessi, si precipitò strepitosamente verso la valle nel modo che rappresento nel mio disegno.
Da Ornitologia italiana di Giacinto Martorelli.

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Il Fagiano di monte appartiene all’ordine dei Galliformi e alla Famiglia dei Tetraonidi. Il suo nome scientifico è Tetrao tetrix (Linnaeus, 1758). L’ornitologo Moltoni interpreta il termine Tetrao, facendolo derivare dal greco tetráon, nome menzionato da Ateneo e da Plinio, che proviene dal verbo tetrázo=io schiamazzo, croccio, chioccio forse per ricordare il canto dei maschi nel periodo degli amori.

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Fagiano di monte disegno di John Gould (1867)

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Come per le altre specie di Galliformi, il Fagiano di monte presenta un evidente “dimorfismo sessuale”: il maschio possiede due caruncole rosse alla base del becco, molto evidenti nel periodo degli amori, ha un piumaggio lucente che varia in tonalità dall’azzurro al blu sfumando gradualmente nel nero e le ali hanno una bordatura bianca e la coda assume la forma di una lira usata per “esibirsi” di fronte alla femmina durante la stagione degli amori. Le femmine sono molto differenti rispetto ai maschi, sia nelle tonalità cromatiche del piumaggio sia nelle dimensioni più piccole.

 

 

 

Femmina di Fagiano di monte, giugno, Austria

 

Il Fagiano di monte, per affrontare le tempeste di neve, è dotato di un vero e proprio filtro di finissime piume sui fori del becco; ha le zampe ricoperte di piume, particolarità comune a tutti i tetraonidi; sulle dita ha delle escrescenze ossee denominate rachidi che costituiscono una sorta di ramponi da ghiaccio.

In inverno, questo uccello per difendersi dal gelo e per risparmiare energia è solito scavarsi una galleria orizzontale nella neve, lunga all’incirca 60 cm, un igloo dove la temperatura è decisamente più alta che all’esterno; in questa galleria, che verrà chiusa all’ingresso con la neve, si rifugia restando immobile per gran parte della giornata. Sul fondo della buca, questo uccello deposita i suoi escrementi utilizzandoli come isolante termico tra le zampe e la neve (consuetudine usata da vari animali alpini quali la Pernice bianca e la Lepre bianca).11_escrementi Fagiano di monte (4)

In caso di pericolo il Fagiano di monte sfonda il soffitto della galleria e si invola. In primavera, con lo sciogliersi della neve, è facile imbattersi in questi cumoli di escrementi caratterizzati da un colore gialliccio-brunastro dato dal loro contenuto quale scarti di aghi di conifere e le parti più dure della cellulosa che questo uccello non riuscito a digerire.

 

Escrementi di Fagiano di monte, maggio, Provincia di Lecco

 

La diffusione del Fagiano di monte spazia dalle Prealpi alla lontana Siberia. A sud le Alpi rappresentano l’ultimo rifugio per questa specie in quanto da tempo è scomparsa dai Pirenei e dalle aree montuose della Grecia.

L’Italia rappresenta uno dei punti più meridionali di diffusione della famiglia dei tetraonidi la cui origine risalirebbe al periodo terminale dell’orogenesi alpina seguita da glaciazioni (circa 25-40 milioni di anni fa). I tetraonidi hanno seguito il progressivo ritiro dei ghiacciai verso nord  e sono rimasti solo nelle zone che hanno mantenuto le caratteristiche ambientali di quei tempi e cioè in ambiente alpino al limite della foresta fra i 1600-2000 metri di quota, caratterizzato da boschi radi con un sottobosco ricco di piante erbacee ed arbusti.

035010_M001_BlackGrouse Distribuzione del Fagiano di monte (fonte www.birdguides.com)

Come detto in precedenza, l’accoppiamento del Fagiano di monte avviene durante le caratteristiche parate nuziali nelle “arene”, luoghi che vengono ripetutamente utilizzati da molti anni, se ne conoscono alcuni utilizzati da più di cent’anni.
Queste esibizioni si concludono con il dominio di un solo maschio, cioè quello che riuscirà a mantenere il centro dell’arena e allontanerà i rivali accoppiandosi con le femmine. Da segnalare che il Fagiano di monte con un solo accoppiamento feconda l’intero grappolo di uova.
A fecondazione conclusa la femmina costruirà il nido a terra dove vi deporrà da 6 a 10 uova incubandole per 26-27 giorni. Sola, senza aiuto del maschio, alleverà i pulcini sino alla loro completa autosufficienza.

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Pulcino di Fagiano di monte, giugno, Austria

In conclusione è importante sottolineare la necessità di intervenire con seri provvedimenti di tutela di questo animale.
Da millenni il Fagiano di monte è sopravvissuto alle cattive condizioni atmosferiche specialmente nel mese di luglio quando i pulcini sono molto piccoli e fragili e rischiano di perdere la vita per una nevicata tardiva o un violento temporale.
Il Fagiano di monte nella sua millenaria esistenza, ha subito azioni predatorie da parte di numerosi animali (volpi, ermellini, faine, aquile e corvidi), ma le nuove minacce dalle quali si deve difendere sono la caccia e il disturbo da agenti esterni quali per esempio lo sci alpinismo, che involontariamente spaventa questo uccello facendolo involare e di conseguenza abbandonare le aree di svernamento provocando un dispendio di energia difficilmente recuperabile a causa della difficoltà nel reperimento del cibo.

 

Bibliografia

Moltoni E., 1946, L’etimologia ed il significato dei nomi volgari e scientifici degli uccelli italiani – Milano

Spagnesi M. & Serra L, 2004. Uccelli d’Italia – Quaderni di Conservazione della Natura Numero 21, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “Alessandro Ghigi”

Brichetti P. & Fasola M., 1990. Atlante degli Uccelli nidificanti in Lombardia – Editoriale Ramperto – Brescia

Vigorita V. Cucè L., 2008. La fauna selvatica in Lombardia – Regione Lombardia – Milano

Martorelli G., 1906. Gli uccelli d’Italia

sabato 10 maggio 2014

Il glicine una pianta dall’atmosfera romantica

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Chi di noi non si è mai soffermato ad ammirare, almeno una volta il glicine durante la sua spettacolare fioritura profumata! La bellezza di questo rampicante è tale da essere spesso utilizzata come decoro del paesaggio. A Varenna la fioritura del glicine sorprende numerosi turisti e non e le immagini che seguono sono scattate tutte in questo romantico paese.

 

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Il glicine è appartenente alla grande famiglia delle Fabacee e al genere Wisteria.
Le specie più note sono la Wisteria sinensis e la Wisteria floribunda; la prima, originaria della Cina, è una pianta particolarmente robusta che può arrivare ad altezze considerevoli (fino a 30 m circa) o allungarsi in orizzontale per 60 m circa. La seconda specie di glicine, la Wisteria floribunda, è originaria del Giappone ed è giunta nel continente europeo nel XIX secolo. Raggiunge dimensioni notevoli ma decisamente inferiori a quelle a cui arriva la Wisteria sinesi: il glicine giapponese infatti può arrivare al massimo a un’altezza di 10 m e il suo fusto si avvolge in senso orario anziché antiorario come invece il glicine cinese.

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5_Glicine_Varenna (16)Il nome comune Glicine deriva dal suo precedente nome generico dato da Linneo Glycinia (dal greco glykys, dolce) ad una pianta rampicante introdotta dall'America ai primi del 700. Si trattava del glicine americano (Wisteria frutescens). Nel 1818 il capitano Welbank portò dalla Cina il glicine che tutti oggi conosciamo: il Wisteria sinensis. Il botanico Nuttal non comprese immediatamente che quella pianta era già stata classificata già un secolo prima e pertanto la chiamò Wistaria, in onore di un professore di anatomia e antropologo tedesco che si chiamava Kaspar Wistar. Il nome però fu poi storpiato dalla pronuncia inglese in Wisteria e con questo nome si diffuse rapidamente in tutti i giardini d'Europa tanto che alcuni anni dopo, nonostante si fossero accorti dell'errore, il nome Wisteria divenne di uso comune. Solo nei paesi latini come in Italia, in Francia e in Spagna è stato mantenuto il nome originale di glicine. I tedeschi invece ne hanno coniato uno nuovo: 'Blauregen' che significa 'pioggia blu' che riporta quindi quasi all'origine come si evince anche dal nome cinese Zi Teng che significa “vite blu”.

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Ora, una curiosità sorge spontanea: perché il glicine della Cina (Wisteria sinensis) ha i rami che si avvolgono da sinistra a destra e il glicine del Giappone (Wisteria floribunda) si avvolge invece all'inverso da destra a sinistra? 

 

9_Glicine_Varenna (27) Si deve sapere che tutti i rampicanti che sono originari dell'emisfero boreale (nord) si avvolgono in senso antiorario e tutti quelli che sono originari dell'emisfero australe (sud) si avvolgono in senso orario. Questo fenomeno è causato dalla rotazione terrestre.
Il Giappone si trova però nell'emisfero nord fra il 30° e il 45° parallelo. Allora, perché il glicine giapponese si avvolge in senso orario? Perché il Giappone, qualche milione di anni fa si trovava nell'emisfero sud poi, per via della deriva dei continenti, come una zattera ha navigato sulla crosta terrestre verso nord alla velocità di qualche centimetro all'anno senza mai inabissarsi nell'oceano per arrivare dove è ora. Il percorso è stato cosi lento che ha dato tempo alle piante di adattarsi alle diverse condizioni di clima pur mantenendo il senso di avvolgimento originario.
Questo spiega la grande diversità esistente tra la flora spontanea giapponese e quelle delle vicine Corea e Cina.

Varietà bianca - Wisteria sinesis alba

La fioritura del glicine a Varenna

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Bibliografia

Wisteria di Francesco Vignoli LINK

Il Glicine di Luisa Ferrari LINK

domenica 4 maggio 2014

Il Mignattino piombato, una sterna poco comune sul Lario

Con la migrazione primaverile in Alto Lario è comparso un Mignattino piombato. Prendo spunto da questa osservazione quindi per proseguire il discorso dedicato alle Sterne iniziato mesi fa su Libereali (LINK).

1_2014-04-22_Mignattino piombato_Pian di Spagna (33)_filtered Mignattino piombato Chlidonias hybridus, Alto Lario

Il Mignattino piombato Chlidonias hybridus è più grande e massiccio del Mignattino comune assomigliante alla Sterna comune di cui è parente stretto. In questo periodo il piumaggio nell'abito riproduttivo ha un cappuccio nero, guance e gola bianchi e parti inferiori grigio scuro color piombo (da cui prende il nome).

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Sistematica
Ordine: Caradriformi (Charadriiformes)
Famiglia: Sternidi (Sternidae)
Specie: Chlidonias hybridus (Pallas, 1811)

 

 

 

 

Il Mignattino piombato è diffuso in modo ampio ma molto frammentato in Europa dove è attualmente nidificante dalla Spagna fino al Mar Nero, non superando a Nord il 50° parallelo. Nel corso del XX secolo la specie è scomparsa da varie nazioni del centro-nord Europa, seguendo la bonifica delle zone umide d’acqua dolce.

mappa Mignattino piombato

Distribuzione del Mignattino piombato (fonte www.birdguides.com)

Questa specie, dopo avere trascorso l'inverno nei quartieri di svernamento del Nord Africa, a ridosso del Nilo, raggiunge le zone umide di acqua dolce, ricche di vegetazione galleggiante e bordate da canneti, aree determinati per la nidificazione.

In Italia è nidificante (con poche coppie), migratrice e svernante occasionale.

Distribuzione mignattino piombato Osservazioni di Mignattino piombato in Italia nell’ultimo anno. (Fonte Ornitho.it)

Il Mignattino piombato sul Lario oggi è considerata specie migratrice regolare con pochissimi individui(1). Solo pochi anni fa era considerato accidentale(2) ma il motivo di questa variazione fenologica non lo si deve ricercare tanto in un’espansione della specie quanto ad un fattore ben diverso che riguarda la presenza di birdwatchers sempre più attenti ed esperti ed ad una rete informatica che divulga le notizie di osservazioni, come ad esempio il portale Ornitho.it o localmente, il gruppo ornitologico CROSVARENNA Per i naturalisti che si occupano della fenologia degli uccelli sono molto importanti le citazioni bibliografichOrnitologia comense (Medium)e. Da queste si traggono interessanti punti di riflessione, come nel caso del Mignattino piombato, su cui il professore Maurizio Monti nel 1843 scrisse un trattato “Ornitologia comense – Catalogo e notizie compendiose degli uccelli di stazione e di passaggio nella provincia e diocesi di Como”. Su questo lavoro Monti riporta sia il Mignattino comune che la Sterna comune come specie molto diffuse. Personalmente penso però sia stato presente anche il Mignattino piombato ma per diversi motivi non sia stato catturato o riconosciuto. Passano pochi anni e nel 1870 Erasmo  Buzzi nel “Catalogo ornitologico della provincia di Como” scrive pressoché le stesse cose di Monti. Nel dicembre 1940, Edgardo Moltoni pubblica un articolo sugli uccelli della Valtellina dove cita anche l’area dell’alto Lario. Anche Moltoni tralascia l’osservazione di questa specie. Sarà sfuggita all’osservazione? È più probabile che l’esiguo numero di individui migratori sul Lario sia la causa di questa mancanza di segnalazione. Questo però non vuol dire che i citati scritti siano incompleti o poco utili ai ricercatori! Su questi importanti documenti troviamo infatti interessanti riferimenti per cui la Sterna comune, ora specie migratoria con pochissimi individui, nel’800 pare essere stata molto diffusa. Un esempio può essere quanto affermato da Buzzi: (Sterna Hirundo). Passa sul nostro lago nell'Agosto e Settembre in grandi frotte e poco vi si trattiene. Uccello niente pauroso; con tutta indifferenza si avvicina alle barche ed alle persone non solo, ma se con un colpo di fucile si arriva ad ucciderne, o meglio ferirne uno della truppa, tutti gli altri gli sono addosso, sia per ammirarlo o per aiutarlo, e non fuggono più ad onta dei replicati colpi che gli si spara contro; per cui danno agio ad ucciderne parecchi per divertimento ben inteso che la loro carne è d'un fetore insopportabile. Quanto scritto da Buzzi è assai eticamente discutibile. Non dimentichiamoci però che nel 1870 questo era il consueto metodo di approccio alla natura.

Mignattino piombato Gould (Medium) Mignattino piombato, disegno di John Gould (1867)

Torniamo al nostro Mignattino piombato parlando del suo precario futuro. Questa specie risulta infatti essere in forte declino. Le cause sono da ricercarsi nei dissesti ambientali delle aree di svernamento africane, nella distruzione e trasformazione degli habitat di riproduzione e foraggiamento e nel disturbo antropico durante la nidificazione. Per nidificare il mignattino piombato necessita di vegetazione gallNutria (6)eggiante con un basso livello di  inquinamento. Ad intromettersi in questo rapporto è però una specie alloctona, la Nutria, animale importato dal Sud America per la produzione di pellicce, che, liberato nel nostro ambiente con la diminuzione della richiesta del prodotto, si è adattato e riprodotto in maniera esponenziale andando a compromettere la vegetazione acquatica, habitat ideale per la riproduzione del Mignattino piombato.

Nutria (Myocastor coypus)

 

Per questo motivo oggi sempre più pressante diventa la necessità di intervenire per contenere la presenza di specie alloctone e per proteggere e difendere habitat naturali sempre più rari e a rischio di estinzione ma indispensabili per la sopravvivenza di moltissime specie.

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Bibliografia

(1) Annuario CROS Varenna 2013

(2)Annuario CROS Varenna 2006

Adattamento dal Catalogo ornitologico della provincia di Como e della Valsassina (1870) del dottor Erasmo Buzzi.

Maurizio Monti, Ornitologia comense – Catalogo e notizie compendiose degli uccelli di stazione e di passaggio nella provincia e diocesi di Como, 1843

Edgardo Moltoni, Gli uccelli della Valtellina, Atti della Società italiana di scienze naturali. Milano Museo civico di Storia Naturale, Dicembre 1940