Diario di una giornata in Valle
Albano, una valle comasca confinante con la Svizzera.
Da Dongo (CO) seguiamo le
indicazioni per il paese di Germasino e subito attraversiamo un bosco di faggio
in veste invernale.
Unico tono di colore un
cuscino di muschio. Dovrebbe trattarsi di Muschio stellato (Polytricum commune) ma non ne sono sicuro.
Grazie alla temperatura
fredda l’umidità si trasforma in decori.
Un rigagnolo si arricchisce
di sculture.
Anche se si tratta di una
semplice escursione il birdwatcher incallito ha sempre occhio e orecchie pronte.
Infatti, improvvisamente, una femmina di Fagiano di monte prende il volo vicino a noi ma è più veloce di me.
Spero di riuscire a scattare una fotografia la prossima volta!
La vallata verso il Passo S. Jorio. |
Visione verso il Lago di Como anche se dominano le nebbie mattutine… |
Percorriamo il comodo
sentiero che ci porterà in alta Valle Albano. La stagione propone colori quasi
monocromatici.
Veduta sulla Valle Albano. |
Il sole illumina la festuca indorandola. |
Il sentiero a tratti è costituito da muri a secco, una testimonianza
dell’antica pratica di costruzione e tecnica oramai abbandonata che consentiva
di costruire senza utilizzare cemento. Questi muri ospitano una serie di piante
e animali rivestendo un ruolo naturalistico molto importante.
Tracce di un periodo storico… il contrabbando.
Lungo il pendio una femmina di cervo con il suo piccolo.
…e molto lontana un’albanella reale perlustra il territorio in cerca di
prede.
Siamo quasi arrivati al rifugio Sommafiume. Termina qui il mio breve
diario dedicato al “Sentiero natura della Valle Albano”.
*
Il contrabbando nelle valli comasche ed in Valle
Albano fu un fenomeno sociale esteso e radicato, quasi sempre legato alle necessità
di sostentamento delle famiglie valligiane, soprattutto in annate e stagioni
particolarmente avare di risorse agricole.
La
particolare conformazione e posizione geografica della Valle Albano, inoltre,
favorì inevitabilmente lo sviluppo di traffici illeciti di merci sul confine
italo-svizzero, che coinvolsero molti valligiani nei tentativi di importare
generi alimentari richiesti come lo zucchero e la farina, solitamente assai
meno costosi in territorio svizzero. Il governo italiano tentò più volte di
ridurre l’entità del fenomeno ricercando anche una possibile intesa con la
Svizzera, che però non aveva nessun interesse a sottoscrivere l’accordo, poiché
le attività commerciali alimentate dal contrabbando erano rilevanti, mentre con
l’aumento dei controlli si sarebbero in parte limitate le esportazioni e si
sarebbe potuta rischiare una crisi economica diffusa nelle zone elvetiche di
confine.
Il
commercio delle merci contrabbandate non fu sempre diretto verso l’Italia:
infatti durante la Prima e Seconda Guerra Mondiale la Svizzera, trovandosi
isolata tra le nazioni belligeranti, aveva forti necessità di derrate
alimentari e questa situazione contribuì ad invertire il flusso tradizionale dei
generi di contrabbando che assunse una dimensione inedita in particolare tra
l’autunno del 1943 e l’estate del 1948. Questo periodo è stato infatti
ricordato come “epoca del riso”, poiché questa derrata fu a lungo predominante
tra i generi alimentari trasportati in Svizzera. In cambio del riso si
ricevevano sigarette, saccarina e sale. Nel dopoguerra si è invece individuato
il cosiddetto periodo del tabacco, quando il crollo del franco svizzero e
l’adeguamento dei prezzi italiani al mercato internazionale avevano incentivato
il traffico di sigarette dalla Svizzera all’Italia.
I
contrabbandieri venivano chiamati in gergo dialettale sfroosadòr (da andàa de
sfroos, andare di frodo, senza autorizzazione) o anche spalloni, poiché erano soliti trasportare sulle proprie spalle un
grosso involucro rettangolare predisposto per contenere le merci. Tuttavia in
Valle Albano non veniva normalmente usato il termine spalloni, così come cuntrabandèer,
pronunciato con la fonetica del dialetto comasco. Al loro posto si utilizzava
il termine cuntrabandèr, pronunciato
con l’articolazione retroflessa della r del gruppo tr, tipica dei dialetti di
origine siciliana e legata a Germasino proprio a causa dell’emigrazione in
Sicilia di molti valligiani tra il Cinquecento e l’Ottocento. Il linguaggio dei
contrabbandieri e con cui gli abitanti della Valle Albano facevano riferimento
alle attività di contrabbando andava ben oltre il semplice uso del dialetto,
che era comunque la lingua corrente parlata dalla popolazione. In realtà i
contrabbandieri avevano elaborato un gergo particolare che permetteva loro di
scambiarsi informazioni senza essere compresi dai finanzieri, soprannominati “canarini”
per via della fiamma gialla che contraddistingueva la loro divisa. Così, anche
le merci erano denominate con termini gergali: il tabacco si definiva “foglia di
Lugano”, lo zucchero “ossa di morto” e la saccarina “coniglio bianco”. Oltre ad
adottare diverse espressioni in codice, veniva spesso utilizzato un linguaggio
simbolico: ad esempio, le imposte e le finestre chiuse o semichiuse o ancora la
biancheria stesa in un determinato modo indicavano se la via di transito era
controllata dai gendarmi. Anche le donne ricoprivano un ruolo importante per la
buona riuscita dell’operazione, in quanto con varie astuzie controllavano i
finanzieri e si informavano sugli orari dei loro turni di guardia. Dalle
testimonianze ancor oggi reperibili tra gli abitanti più anziani si evince che
il fenomeno del contrabbando fu indubbiamente molto radicato nel tessuto
sociale della Valle fino almeno alla metà del secolo scorso, in quanto spesso coinvolgeva
a diversi livelli e per molti anni tutti i componenti del nucleo familiare di
un cuntrabandèr.
Tratto
dal sito – www.vallealbano.it