mercoledì 21 dicembre 2016

Solstizio d’inverno con un candido fiore che illumina il bosco

Oggi 21 dicembre alle ore 10:44 inizia l’inverno astronomico e nei nostri boschi iniziano a sbocciare i primi Ellebori.

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Elleboro (Helleborus niger)

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L’Elleboro (Helleborus niger) è una pianta appartenete alla famiglia delle Ranuncolacee comunemente chiamata anche Rosa di Natale o Rosa d'inverno. La denominazione del genere Helleborus è l’insieme di quattro parole greche il cui significato finale è "cibo mortale" per via della proprietà velenosa conosciuta sin dall’antichità di questa pianta.

 

L’Elleboro è una pianta perenne con un particolare fusto sotterraneo (rizoma). E’ in questa parte della pianta che si 3_Elleboro-(1)concentrano le sue proprietà officinali e altamente tossiche, anche se tutta la pianta va considerata velenosa. Un tempo veniva usata in medicina per diversi scopi tra i quali combattere i vermi parassiti intestinali. Tuttavia la difficoltà di dosaggio ha reso questa pianta troppo pericolosa sia per gli animali che per l’uomo. Pensiamo ad esempio all’elleborina una sostanza presente in questa pianta la cui azione può seriamente danneggiare il muscolo cardiaco! 4_Elleboro-005

 

 

L’utilizzo inconsapevole dell’Elleboro può provocare avvelenamento caratterizzato da cefalea, vertigini, rallentamento del polso, vomito, diarrea, delirio, sonnolenza, collasso e morte per arresto cardiaco. Si racconta anche che anticamente l’Elleboro fosse considerato un rimedio contro le malattie mentali… lasciamo questi usi alla mitologia greca o ai versi di Gabriele D'Annunzio della tragedia “La figlia di Iorio” in cui cita: “ Vammi in cerca dell'Elleboro nero, che il senno renda a questa creatura”.

Noi accontentiamoci di ammirare nel sonnolente bosco invernale questi candidi fiori che sfidano i rigori dell’inverno evitando qualsiasi uso improprio.

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I gialli stami dell’Elleboro danno un tono di colore al bianco dei sepali.

 

 

L’Elleboro (Helleborus niger) è presente nei boschi dell’Europa temperata: dalla Francia all'Ucraina e si presenta preferibilmente sul substrato calcareo tra i 300 ai 1000 m slm.

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Con la maturazione, l’Elleboro tende dal bianco al rosaceo 8_Elleboro_(2)mettendo in evidenza i frutti (capsule uncinate contenenti i semi).

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10_Elleboro_002Helleborus sp. (niger o viridis)

Stranamente in alcune aree lariane l’Elleboro viene chiamato anche Bucaneve. Forse l’erronea denominazione trae origine dal fatto che questa pianta abbia una fioritura invernale. Il Bucaneve (Galanthus nivalis), appartiene alla famiglia delle Amarillidacee ed ha un aspetto molto diverso dall’Elleboro.

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Elleboro (Helleborus niger).

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Bucaneve (Galanthus nivalis).

 

 

 

 

Bibliografia

PIGNATTI S., Flora d'Italia - Edagricole, 1982.

domenica 11 dicembre 2016

Un invasione aliena: la Mithymna unipuncta

Il quotidiano Il Giorno del 20 settembre 2016 pubblica (Link) un allarmante e alquanto criticabile articolo “La Bassa Valtellina invasa da piccole larve” dove si legge: “E' 1_Processionaria_(1)allarme processionaria” con tanto di fotografia di bruchi di Thaumetopoea pityocampa (comunemente conosciuta con il nome di Processionaria del pino) un lepidottero che durante lo stadio larvale presenta una peluria che risulta particolarmente urticante per l'uomo.

Bruco di Processionaria del Pino
 Thaumetopoea pityocampa.

 

L’articolo prosegue indicando una generica “processionaria” e conclude, tanto per tranquillizzare i lettori scrivendo: “in caso di pericolo chiamare i Vigili del Fuoco”. Per fortuna non ha suggerito di far intervenire la NATO! Se l’autore del servizio, prima di scrivere sciocchezze, si fosse recato sul posto e si fosse interessato un minimo dell’argomento, avrebbe osservato che questi bruchi non solo non hanno nessuna peluria ma tanto meno urticante!

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Bruco di Mithymna unipuncta, settembre, Piantedo (SO).

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Da curioso naturalista quale sono, mi sono recato nelle zone dell4_Mithymna-unipuncta_038a Bassa Valtellina per indagare questo fenomeno e dove ho osservato che questa “invasione” di bruchi si è sviluppata a macchia di leopardo in maniera alquanto consistente tanto che gli abitanti hanno escogitato fantasiosi ed efficaci rimedi per tenere lontane dalle abitazioni queste larve.

Barriera artigianale ma efficace per contenere
l’invasione dei bruchi di
Mithymna unipuncta.

 

Documentato fotograficamente il fenomeno, ho sottoposto ad esperti la domanda. “A quale specie appartengono queste larve?” La risposta è stata immediata. Si tratta di una falena ma si può solo ipotizzare la specie perché bisogna attendere lo sviluppo dell’insetto adulto prima di certificare con assoluta sicurezza la specie di appartenenza. D’altra parte va detto che l'ordine dei Lepidotteri (farfalle e falene) è formato da più di 150.000 specie diffuse in tutto il mondo, in particolare nelle zone tropicali, e solo quelle appartenenti alle Noctuidae, (famiglia a cui appartiene la Mithymna unipuncta) comprendente 35.000 specie conosciute. Inoltre mi viene segnalato che questa “invasione” sia avvenuta anche in alcuni paesi della Brianza e in altre regioni italiane, dove questa bestia sta provocando danni alle coltivazioni. La curiosità si fa tanta e tale che su istruzioni di esperti provvedo ad allevare qualche bruco, ed eccomi qua in questi primi giorni di dicembre a più di due mesi dal “invasione” ad assistere l’avvenuta conclusione del ciclo di sviluppo e dalla crisalide è uscita una farfallina, ora non è più un mistero si tratta di Mithymna unipuncta (Haworth, 1809) chiamata comunemente Nottua delle graminacee.

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Adulto di Mythimna unipuncta, vista da sopra e da sotto.

La Mythimna unipuncta è una farfalla notturna con apertura alare di circa 35-40 mm. Originaria del continente americano e introdotta in Europa già nel XIX secolo, si tratta di una specie in grado di compiere lunghe migrazioni. E’ distribuita su un ampio areale che si estende da nord, al centro, al Sudamerica, all'Europa meridionale, all'Africa centrale fino all'Asia occidentale. Legata prevalentemente ai climi con temperature elevate, in Italia è poco presente anche se ultimamente si sono registrate importanti infestazioni, soprattutto al Sud.

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La Nottua delle graminacee (Mythimna unipuncta) depone circa 1500 uova, in gruppi di 100-150 unità. La schiusa avviene dopo 5-10 giorni, in funzione delle condizioni climatiche. La larva matura si interra a qualche centimetro di profondità dove si trasforma in pupa. Lo stadio di pupa ha una durata variabile di 7-14 giorni e oltre. Alle nostre latitudini la specie è in grado di completare 3-4 generazioni all’anno. Lo svernamento avviene allo stadio di larva, nel terreno. La durata del ciclo completo da uovo ad adulto copre un intervallo di 30-40 giorni.

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Crisalide di Mythimna unipuncta, nell’immagine di destra si nota il foro di uscita dell’insetto adulto.

La larva si nutre di vegetali ed è in questo stadio che, se il numero degli individui è elevato, crea pesanti danni soprattutto a spese delle graminacee.

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Larva di Nottua delle graminacee Mythimna unipuncta a maturità raggiunge le dimensioni di 30-35 mm di lunghezza.

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Le infestazioni di queste larve aggrediscono praticamente tutte le graminacee, spontanee e coltivate, con importanti e gravi defogliazioni che possono interessare tutte le parti verdi della pianta.

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Le popolazioni di questa specie, in natura, sono di norma mantenute sotto controllo dai numerosi parassiti tra cui ditteri (es. Exorista larvarum) che depongono 1-2 uova sulle larve ma anche virus, batteri e funghi entomopatogeni che rappresentano quindi controllori della popolazione della Mythimna unipuncta.

Cosa ha provocato questa particolare invasione? Tra le varie ipotesi, una viene attribuita al meteo anomalo, decisamente caldo, del periodo settembrino.

Concludo dicendo che l’ecosistema è complesso e delicato. Gli equilibri tra le varie specie viventi sono frutto di lunghe evoluzioni ma l’uomo, con le sue azioni, sta provocando sconvolgimenti immaginabili a tali equilibri.

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Bibliografia Web

Mythimna unipuncta

ERSA - agenzia regionale per lo sviluppo rurale

Regione Piemonte - settore fitosanitario

mercoledì 23 novembre 2016

L’appuntamento con l’autunno: il sentiero del Tracciolino.

Prima dell’arrivo dell’inverno, la vegetazione regala splendidi colori e opportunità da non perdere. Non può quindi mancare anche quest’anno su questo blog, la consueta proposta di percorso per l’appuntamento con l’autunno. Quest’anno la meta scelta è il sentiero del Tracciolino, spettacolare tracciato situato a 912 metri di quota all’imbocco della Valchiavenna e recentemente riaperto dopo vari interventi di messa in sicurezza.

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“In autunno, quando al crepuscolo i raggi del sole arrivano trasversali, mi sembra d’impazzire. A dominare sono ancora i faggi, con le foglie inizialmente verdi, gialle e rosse. Capisci, tre colori molto caldi contemporaneamente sulla stessa pianta prima di lasciarsi dietro una tinta più omogenea sul colore del rame. Ma intanto c’è anche il giallo brillante delle betulle, o ancora il rosso di aceri e ciliegi che spuntano qua e là, il giallo oro dei larici che salgono fino alle creste sommitali e brillano stagliati su un tiepido cielo azzurro. E come se non bastasse, a un certo punto compaiono le nebbie autunnali che salgono bianchissime dalla valle e passano come una carezza su quei colori, celandoli per poi mostrarli in una luce nuova che li fa sembrare ancora più belli”. (da: Guardiano di dighe, Oreste Forno).

 

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Questo percorso si presta a varie modalità di percorrenza: per i più “atletici” è possibile fare un anello che parte da Novate Mezzola (SO) e arriva a Verceia (SO), con un dislivello di circa 800 metri e circa 8 ore di cammino. Mentre alla portata di tutti è possibile percorrere il Tracciolino orizzontalmente con una percorrenza di andata e ritorno sullo stesso percorso, raggiungendolo in auto lungo la strada (con permesso a pagamento) che sale da Verceia1.

 

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Visione approssimativa e mappa del percorso del Tracciolino.Tracciolino_005

LINK per scaricare PDF della mappa

Il sentiero del Tracciolino risale agli anni ‘30 come supporto alla costruzione del canale che porta le acque della val Codera alla diga di Moledana. Il percorso, una vera opera ingegneristica, è lungo circa 13 km e segue perfettamente in piano la curva di livello a 912 m, con una larghezza che varia da 4 metri e poco più di un metro ed è scavato nella roccia su ripide pareti e 22 strette gallerie scavate a mano nella roccia. Noi ne percorriamo una lunga parte fino a raggiungere San Giorgio, piccola frazione di Novate Mezzola (SO).

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Punto di partenza del Tracciolino.

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Il punto di partenza del Tracciolino è l’incrocio tra la mulattiera che da Verceia sale a Frasnedo. Da qui si diramano due direttrici: a destra verso la diga di Moledana in Valle dei Ratti e a sinistra verso San Giorgio e la Valle Codera. Noi ci dirigiamo in primis a destra verso la Valle dei Ratti che dista poco più di 800 metri.



Parte del percorso del Tracciolino è munito di binari a scartamento ridotto Decauville sulla quale viaggia tutt’oggi un locomotore usato dai guardiani e dagli addetti alla manutenzione dell’impianto.

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La ferrovia Decauville.

 

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Tratto di percorso verso la diga della valle dei Ratti.

 

 

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Una breve galleria ci porta direttamente sulla diga di Moledana.

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Nel momento in cui mi appare, dopo che il Tracciolino è entrato in una breve galleria, mi ritrovo a trattenere il fiato. A impressionarmi non è il vasto specchio d’acqua immobile che s’insinua verso monte, ma il grande muraglione ad arco rientrante che scende verticale fino in fondo, molto basso, seguito da un altro della stessa forma più piccolo, come fosse una minidiga, oltre il quale la valle, qui detta “Valle dell’inferno”, s’incunea angosciante tra forre levigate che subito la nascondono. […]

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  “Dovresti vedere quando la diga tracima immensa e rumorosa, allora si che resti senza fiato! I vapori salgono veloci portati da un boato rimbombante. E se c’è il sole, tra l’acqua che ribolle in basso, brilla l’arcobaleno”. (da: Guardiano di dighe, Oreste Forno).

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Diga di Moledana – Valle dei Ratti.






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Alla sinistra, oltre il bacino, vediamo l’edificio del guardiano.
Qui Oreste Forno, custode e narratore, scrisse il libro “Il guardiano delle dighe”.

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Questo invaso di circa 101.000 metri cubi è alimentato dal fiume Ratti che si immette direttamente nell’invaso, dal Codogno captato nelle vicinanze e dal Codera attraverso una galleria lunga circa 10 chilometri. Questa diga alimenta la centrale di Campo che dal 1936 (anno di entrata in servizio) produce una media di 121,81 GWh. (Disegno: ©EDISON-Gestione Idroelettrica

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Lasciata la diga di Moledana ritorniamo sui nostri passi verso la val Codera. Qui il percorso è baciato dal caldo sole autunnale e i colori sono abbaglianti.

 

 

 

Il percorso è spettacolare, arroccato sulla strapiombante roccia tra ponti e gallerie e offre un panorama veramente unico.

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Un tratto del percorso verso la Val Codera.

 

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Un curioso mezzo di trasporto usato un tempo per percorrere la linea ferrata.

 

 

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Una visione sul Lago di Mezzola, la Riserva del Pian di Spagna e in lontananza l’alto Lario.

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La bassa Valchiavenna.

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Tra ponti in ferro e buie gallerie.

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Il sentiero per la val Codera ora svolta a destra. Una breve variante ci porta a la Motta, straordinario terrazzo naturale sul paesaggio circostante.

 

 

 

 

 

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La Motta è il punto di partenza della ferrovia Decauville e punto di arrivo della funicolare dove, su binari, scorre un carrello di servizio trainato da funi utilizzato dagli addetti all’impianto per arrivare in quota Trecciolino. In questo punto, con una ripida discesa, inizia la condotta forzata che con un salto di 700 metri porta l’acqua fino alla centrale di Campo.

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Il Tracciolino non è solamente una meta amatissima dagli escursionisti a piedi ma è molto apprezzata anche da chi va in montagna in bicicletta. Per questo motivo da pochi mesi, 8 dei 12 chilometri dell’intero percorso sono stati messi in sicurezza con protezioni a valle e segnaletiche per ciclisti.

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La stagione è inoltrata ma su queste pareti esposte al sole si vedono volare ancora le farfalle.
Ecco una Vanessa dell’ortica (Aglais urticae).

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Riprendiamo il percorso e ci inoltriamo in una galleria lunga 300 metri. Sebbene ora sia illuminata (c’è un pulsante a tempo all’imbocco della galleria), è bene dotarsi di una luce propria nel caso ci si trovi improvvisamente al buio.

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L’imbocco della lunga galleria che
conduce al versante est della Val Codera.




Il percorso è composto da un continuo entrare ed uscire dalle gallerie seguendo l’olografia del territorio dove il tema geologico dominante è quello della roccia che rende questo tratto selvaggio e inquietante. Percorrere questo sentiero oggi è una piacevole e sicura passeggiata. Non fu però così per i partigiani saliti da Verceia la notte fra il 28 ed il 29 novembre 1944 che dovettero affrontare questo percorso in precarie condizioni di visibilità, superando tratti esposti, che costarono la vita ad alcuni di loro2.
Questo tragitto è assolutamente unico ed affascinante nel suo genere!

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San Giorgio vista dal “Tracciolino”.

Abbandoniamo il Tracciolino e decidiamo di scendere fino a San Giorgio, piccola e assai carina frazione di Novate Mezzola. Il Tracciolino invece prosegue verso Cola, una manciata di case ocTracciolino_059cupate solamente in estate e poi Codera, frazione di Novate Mezzola abitata invece tutto l’anno da una decina di persone pur non essendo servita da nessuna strada carrozzabile.

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Cola, un piccolo nucleo di case toccate dal Tracciolino.




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Codera vista attraverso il teleobiettivo.




Come detto, noi decidiamo di lasciare il tracciato e di scendere verso San Giorgio lungo una mulattiera tra betulle e castani. Un percorso tinteggiato dai colori autunnali.

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Un esempio di "civiltà della pietra".
In crotti come questi ricavati sotto un macigno
veniva riposto al fresco il latte e altri alimenti.





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Il castagneto

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San Giorgio (m. 748) è posizionato in una conca a monte di Novate Mezzola ed è composto da un piccolo gruppo di case, un tempo abitate da cavatori del locale granito. Diverse sono le leggende che legano questo luogo al famoso Santo, alcuni di questi racconti coinvolgono anche la presenza dei due massi avello3 situati nei pressi del cimitero.

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Il minuscolo e singolare cimitero, raccolto sotto un enorme masso in granito.


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La chiesetta e il suo campanile costruiti interamente con il locale granito.

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Un Codirosso spazzacamino sorveglia il paese.

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La tranquillità regna sovrana… un gruppo di paesani mentre giocano alle bocce.

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Al di là della valle le baite di Avadèe.

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Termina qui il nostro percorso descrittivo. In realtà noi ripercorriamo il sentiero fino al punto di partenza dove abbiamo lasciato l’auto e così abbiamo un’ulteriore opportunità per riassaporare questa passeggiata.



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Concludiamo il post con questo bel filmato riguardante la centrale elettrica di campo e del Tracciolino.



1 - Per raggiungere il punto di partenza del Tracciolino a Verceia, si imbocca la via Serto. Al “Garni al Sert” è acquistabile il permesso obbligatorio giornaliero al costo di 5 € . Si prosegue dritto e si imbocca la via XXV aprile su una stretta strada asfaltata per circa 8 km. L’ultimo tratto è sterrato e ci conduce fino ad uno spiazzo dove si può lasciare l’auto. Durante i fine settimana il piccolo parcheggio è affollato. Consiglio quindi di parcheggiare un centinaio di metri al di sotto della partenza del Tracciolino.

2 – I racconti parlano di due partigiani periti: uno caduto in un tratto del Tracciolino ed uno morto a causa di congelamento. Gli storici non hanno trovato riscontri. (fonte Anpi di Sondrio)

3 - I due massi avello visibili presso il cimitero di San Giorgio, in località detta Sagràa di Pagàn (Spiazzo dei Pagani) con significativa allusione ad una continuità d’uso nei secoli di una primitiva necropoli, sono sepolture scavate in grossi blocchi di ghiandone, di cui uno con due capezzali e a testimonianza di gente del luogo munito un tempo di un coperchio rotto in due parti, che documentano la presenza di popolazioni celtiche, dedite alla pastorizia ed all’agricoltura. I due massi avello, simili ad altri a Stampa in Val Bregaglia ed a Berbenno e già noti all’inizio del 1600, sono stati anche recentemente attribuiti al V secolo a.C., contrariamente al parere di alcuni studiosi che li hanno in passato ritenuti sepolture tardoantiche o longobarde. Solitamente colme di acqua piovana, la tradizione popolare le dice usate da San Giorgio e dal suo cavallo per dissetarsi dopo il famoso duello col drago. Sempre a San Giorgio, tre superfici rocciose affioranti dal terreno con lunghi e ramificati canaletti con coppelle e coppelline sono state paragonate a simili incisioni rupestri della Val Camonica attribuibili all’età del bronzo. La Val Codera rientra così in quell’insieme di territori che all’inizio della storia documentata appaiono serviti da quella profonda via di penetrazione nel cuore della catena alpina rappresentata dal Lario. (da: Storia della Val Codera. (da: Storia della Val Codera Link)


Bibliografia

Forno O., Guardiano di dighe, Bellavite, 2012 (LINK)

 

POLO 2 IMPIANTO IDROELETTRICO CAMPO NEI COMUNI DI VERCEIA (SO) E NOVATE MEZZOLA (SO) DICHIARAZIONE AMBIENTALE TRIENNIO 2012 - 2014 INFORMAZIONI AGGIORNATE AL PRIMO SEMESTRE 2012

POLO 2 IMPIANTO IDROELETTRICO CAMPO NEI COMUNI DI VERCEIA (SO) E NOVATE MEZZOLA (SO) DICHIARAZIONE AMBIENTALE TRIENNIO 2012 - 2014 “AGGIORNAMENTO” 2013

La storia e le storie (da Val Codera - Lyasis) (LINK)

55ma f.lli Rosselli, pagg. 23 e 24 (LINK)