Sono passati solo pochi giorni e mi ritrovo qui a
descrivere un’altra emozionante esperienza, anche in questo caso si tratta di
un uccello del gruppo dei limicoli, nello specifico stiamo parlando del Piviere
tortolino.
L’osservazione
di oggi non è avvenuta attraverso il cannocchiale cercando un puntino tra le
onde come è accaduto pochi giorni fa quando ho avvistato il Falaropo beccolargo,
questa esperienza è andata oltre le mie più rosee aspettative, merito della
distanza ravvicinata e degli uccelli che hanno preso subito confidenza nei miei
confronti. Aggiungiamoci anche il contesto in cui l’osservazione è avvenuta (
il Parco Nazionale dello Stelvio), è facile comprendere il mio entusiasmo.
Piviere
tortolino
Il Piviere tortolino Charadrius morinellus è un uccello raro, caratteristico delle aree
fredde, diffuso prevalentemente nel Nord Europa. Si tratta di un migratore che
durante i suoi viaggi per lo svernamento in Nord Africa è solito sostare in alcune aree
molto limitate prevalentemente in montagna a quote elevate. La migrazione post-nuziale
inizia verso la metà del mese di agosto fino alla metà di settembre. Le
distanze percorse dalle popolazioni scandinave di questa specie possono superare
i 4.000 km ma il record spetta alle popolazioni siberiane che devono affrontare
spostamenti che superano i 10.000 km.
Distribuzione
del Piviere tortolino, in rosso le aree di nidificazione, in blu le aree di
svernamento.(1)
Piviere
tortolino in parziale abito nuziale.
Il Piviere tortolino, pur essendo un limicolo, predilige l’ambiente
della tundra artica o alpina e non è particolarmente dipendente dall’acqua a
differenza di tutti gli altri limicoli, che prediligono zone umide a basse
quote.
Tipico
ambiente di tundra alpina.
Come avviene per il Falaropo, anche nel “tortolino” si ha un’inversione dei ruoli sessuali. La
femmina, che ha colori più vistosi, dopo aver deposto le uova in un primo nido,
che verrà accudito dal maschio, si accoppia nuovamente con un altro maschio e
di seguito fino ad un terzo, questa sequenza viene chiamata “poliandria
seriale”.
Piviere
tortolino in abito di transizione post nuziale.
Il Piviere tortolino è una
delle specie più rare di uccelli nidificanti in Italia, allo stato attuale la
sua nidificazione potrebbe essere ormai un fatto del tutto sporadico nel nostro
paese. Si stima su tutta la catena alpina la presenza di un massimo di 20/50 coppie
per la maggior parte concentrate in Austria.
Giovane
di Piviere tortolino.
Considerato a livello
nazionale una rarità, il Piviere tortolino è protetto dalla legge come specie
non cacciabile, ed è entrato nella “Lista Rossa Italiana”, con la nota “in pericolo in modo critico”, cioè fa parte della categoria che comprende le specie soggette ad un altissimo rischio
estinzione nel immediato futuro.
Gruppo
di Pivieri tortolini nel loro tipico ambiente alpino.
Concludendo, mi auguro che questi splendidi visitatori delle nostre
montagne proseguano il loro lungo e difficile viaggio per poi ritornare in
primavera a regalarci ancora emozioni indimenticabili.
Per saperne di più:
Il Piviere tortolino di Massimo Favaron, edito dal Parco Nazionale dello Stelvio -
2005
(1) Autore e licenza
Self build by Ulrich Prokop (Scops 08:22, 22 October
2005 (UTC)) using photo filtre sources: maps by GROMS (www.groms.de);
Beaman&Madge p. 307; Makatsch: Die Limikolen Europas einschließlich
Nordafrikas und des Nahen Ostens. VEB Deutscher.
È il 12 maggio 2012, in Pian di Spagna viene avvistato un Falaropo beccolargo Phalaropus fulicari, la notizia della presenza di questa rarità fa il giro tra tutti i birdwatchers della zona(vedi articolo)
Domenica 26 agosto 2012 ricompare un Falaropo beccolargo, viene da pensare sia lo stesso individuo che straordinariamente è passato dal Pian di Spagna in migrazione primaverile ed ora sta rientrando nelle aree di svernamento percorrendo la stessa strada, chiaramente sono solo supposizioni, nessuno lo potrà mai confermare.
Disegno
di Falaropo beccolargo, realizzato da U. Catalano per la pubblicazione “Iconografia degli Uccelli
D'Italia” edito dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica.
In Italia il Falaropo beccolargo, la cui lunghezza totale è pari a 18-25 cm, è
migratore e svernante molto irregolare. Nonostante la specie sia normalmente
gregaria al di fuori della stagione riproduttiva, in Italia vengono di solito
osservati individui isolati. Questo fatto, testimonia che le presenze sono
dovute a soggetti usciti dalla normale direttrice di spostamento, probabilmente
questo avviene a causa di ampie depressioni atmosferiche che modificano la
rotta normalmente seguita dalla specie.
Vi
sono 3 specie:
ØIl Falaropo beccolargo (Phalaropus fulicarius)
nidificante nelle tundre artiche del Vecchio e Nuovo Mondo;
ØIl Falaropo beccosottile (Phalaropus lobatus)
nidificante nella zona subartica;
ØIl Falaropo di Wilson (Phalaropus tricolor)
nidificante nell'ovest del Canada e degli Stati Uniti.
Le
prime due specie svernano sul mare e si nutrono di crostacei planctonici; la
specie americana trascorre l'inverno sulle rive delle paludi del Sudamerica.
La
femmina del Falaropo beccolargo ha una livrea nuziale più colorata del maschio. Tra i Falaropi sono le femmine a scegliere il
proprio compagno; la variopinta livrea nuziale della femmina e la sua indole
bellicosa sono causate da un'abbondante secrezione nelle ovaie di ormoni
sessuali di tipo maschile, infatti nei Falaropodi la maggior parte delle
femmine abbandona il nido già durante la cova, pertanto in genere i piccoli
vengono accuditi solo dal maschio fino a quando non sono in grado di volare.
Questa immagine pur essendo qualitativamente scarsa a causa la notevole
distanza del soggetto, resta un’importante testimonianza della presenza sul
Lario di un Falaropo beccolargo.
Solo pochi mesi fa descrivevo su queste pagine la migrazione
primaverile, (tempo di migrare), ed ora siamo già nella migrazione post riproduttiva. Quest’anno pare che
alcune specie abbiano anticipato il rientro nelle località di svernamento,
Balie e Luì grossi sono segnalati con una decina di giorni di anticipo. Un
uccello che invece inizia la migrazione regolarmente in questo periodo è il
Falco pecchiaiolo (articolo a lui dedicato).
Per attraversare le Alpi e le Prealpi, questi uccelli utilizzano rotte
migratorie “storiche”, vere strade dei cieli. Nella nostra zona, tra il lago di
Como e le Prealpi Orobiche, alcuni ricercatori del CROS Varennasi sono impegnati nel controllare
periodicamente alcune località che teoricamente potrebbero essere interessanti
da questo punto di vista.
Oggi racconterò lo svolgere di una giornata passata
di birdwatching ricca di emozioni.
L’estate che stiamo vivendo è particolarmente calda, quasi da record, infatti
anche sui rilievi montani la temperatura si fa sentire. Ci troviamo sull’alpe
Giumello (LC), sulle pendici del Monte Muggio ed il panorama è offuscato dalla
calura.
Ben diversa appare la vista
del paesaggio in una giornata limpida. Lo sguardo spazia sul ramo del lago di
Como con la punta di Bellagio, il promontorio del Balbianello.
Il Lago di Como e il Lago
di Lugano.
Gli uccelli migratori detti
” veleggiatori”, come ad esempio i falchi,
utilizzano le correnti d’aria ascensionali per portarsi in quota e poi
planare fino ad agganciare un’altra termica, questo gli permette di ridurre al
minimo il dispendio di energia. Sui pendii montani queste correnti si formano spontaneamente
e per tale motivo il monte Muggio è il luogo ideale per osservare questi
uccelli.
Prateria del monte Muggio con la sponda occidentale dell’alto Lario.
Due Falchi pecchiaioli in
termica scompaiono nel cielo.
Falco pecchiaiolo.
Oltre ai Pecchiaioli, la migrazione coinvolge altri rapaci.
Poiana.
La sorpresa è osservare, molto lontana dal nostro appostamento, un’Albanella
minore impegnata nella caccia mentre volteggia sul crinale.
Albanella minore, giovane dell’anno,
Monte Muggio.
L'Albanella minore è specie nidificante e
migratrice in Europa, nelle nostre zone le rare osservazioni di questa specie
si fanno solo durante le migrazioni.
Questa specie è in forte diminuzione a causa della
scomparsa delle steppe naturali, pertanto si è dovuta adattare a cacciare e a
riprodursi quasi esclusivamente nei campi coltivati.
I nidi vengono rigorosamente posati sul terreno e
per tale motivo la gran parte di questi viene distrutta da parte dei mezzi
meccanici impiegati nella mietitura. Se a questo si aggiungono altri fattori
come l'uso massiccio di pesticidi in agricoltura, il bracconaggio, la predazione
di uova e nidiacei (da parte di mammiferi e corvidi) l’Albanella minore è messa
in serio pericolo.
Albanella minore, maschio, Germania.
Le sorprese non finisco qui: un amico mi chiama al telefono informandomi
che uno stormo di 48 Cicogne bianche ha trascorso la notte nella Riserva del
Pian di Spagna. Il gruppo si è involato
ed io trovandomi più a sud sul monte Muggio attendo speranzoso il suo
passaggio. Bastano infatti pochi minuti e lo vedo arrivare in volo sul lago
provando una grande emozione.
Cicogne bianche sopra Bellano.
La giornata termina con un gracchiante volo di Corvi imperiali
Il bello del birdwatching è condividere questi momenti con gli amici a
due e a quattro zampe.
Pochi giorni fa mi è stato rivolto questo
quesito: “ho visto un strano uccello, sembra un edredone ma ha dei colori
strani…”
Effettivamente la domanda che mi è stata posta ha un senso,
infatti in questo periodo riconoscere gli uccelli è più difficoltoso, per quale motivo?
Nelle noti seguenti cercherò di rispondere a questo quesito.
Gli uccelli volano (ma lo fanno anche i
mammiferi), gli uccelli depongono le uova (ma lo fanno anche i rettili e gli
anfibi), allora quale è la caratteristica principale che distingue gli uccelli
da tutti gli altri esseri viventi? sono le piume e le penne.
Penne e piume di Coturnice
Il piumaggio, oltre a
svolgere una funzione di rivestimento, è indispensabile per il volo, vi sono
penne remiganti distribuite sulle ali, che servono a spostare l'aria, penne
timoniere, sulla coda, che regolano la direzione, e penne copritrici con
funzione solo di rivestimento. Le piume, invece, funzionano solo da isolanti
termici: sono soffici, leggere, flessibili e rivestono le parti del corpo non
direttamente implicate nel volo.
Il piumaggio degli
uccelli ha una struttura delicata e si deteriora con il passare del tempo, da
qui la necessità di un suo rinnovo. Questo processo si definisce tecnicamente “muta”,
e consiste nella caduta spontanea delle
penne e la successiva loro ricrescita.
Penne di cornacchia grigia
e gabbiano comune cadute a causa della muta.
In genere
gli uccelli subiscono la muta due volte l'anno, in molti casi modificano anche
la livrea, ossia l' insieme dei colori e dei disegni del piumaggio.
Balia nera, maschio in abito
primaverile (o livrea nuziale).
Balia nera in abito non
riproduttivo.
La muta costituisce un
momento critico e può risultare completa od incompleta; I rapaci, che per
procurarsi il cibo hanno bisogno di volare sempre, non possono cambiare il loro
piumaggio tutto in una volta ma devono cambiare una penna alla volta per poter
essere ancora in grado di volare perfettamente, cacciare e dunque sopravvivere.
Nibbio bruno in muta
parziale con penna mancante sull’ala e timoniere esterne in ricrescita.
La muta regressiva è quella che interessa i maschi di alcune specie
(esempio le anatre) e nel periodo della riproduzione li rende simili alle
femmine (abito eclissale).
Maschio di
Germano reale in abito primaverile.
Maschio di
Germano reale in abito eclissale.
Maschio di Edredone in
abito primaverile.
Maschio di Edredone in
abito eclissale.
Mute periodiche: il piumaggio viene cambiato durate tutto il periodo di
accrescimento di un uccello, che passa gradatamente dallo stadio di nidiaceo a
quello di immaturo fino allo stadio di adulto.
Pulcino di Gabbiano
reale.
Gabbiano reale
1° inverno.
Gabbiano reale
2° inverno.
Gruppo di
Gabbiani reali di diverse età.
Gabbiano reale
in transizione verso il 3° inverno.
Gabbiano reale
4° inverno (adulto).
Altro tipico esempio di muta è quella addizionale come per esempio quella
della Pernice bianca, ma di questo ne abbiamo parlato nel post precedente.
In conclusione si può dire
che le colorazioni del piumaggio sono in stretta relazione con l’età, con le
mute, con il sesso degli individui, con la fase riproduttiva, nonché con le
stagioni, come le livree estive e le livree invernali dipendenti da condizioni
climatiche e alimentari.
L’odierna pagina di diario avrebbe dovuto raccontare una normale escursione in montagna, invece si è rivelata una giornata interessante di birdwatching. Nasce così lo stimolo di parlare di quello che a mio parere è l’emblema della fauna alpina, la Pernice bianca.
Le previsioni meteorologiche lo avevano annunciato “perturbazioni sui rilievi alpini”, ma tutto era organizzato e si prende la decisione di salire.
Lungo il sentiero osserviamo un fungo dalla particolare forma; si tratta di un Mutinus caninus appartenente alla famiglia Phallaceae.
Salendo di quota la situazione meteo peggiora, stiamo per rinunciare quando improvvisamente un rauco verso e un movimento tra le sterpaglie fa salire l’adrenalina, non mi sembra vero involontariamente mi trovo in mezzo ad un gruppo di 7 Pernici bianche Lagopus mutus helveticus, molto probabilmente sono una “famigliola” al completo.
Pernice bianca, agosto, Prealpi lecchesi.
La Pernice bianca predilige aree impervie, fredde, in un certo senso inospitali. Per sopravvivere in questo ambiente ha sviluppato nel corso della sua evoluzione uno straordinario adattamento rendendosi mimetica con l’ambiente circostante, mutando il piumaggio dal grigio estivo al candido bianco invernale.
Altra straordinaria caratteristica di questa specie è l’adattamento alimentare nel periodo invernale.
(Per conoscere meglio la biologia di questo animale a fine articolo trovate un’interessante testo dedicato alla Pernice bianca.)
Pernice bianca, agosto, Parco Nazionale dello Stelvio.
La Pernice bianca Lagopus mutus appartiene all’Ordine dei Galliformi, Famiglia Tetraonidi.
L’etimologia del nome scientifico racconta: Lagopus, deriva dal greco lagos, che significa "lepre", e pus, che significa "piede". Si riferisce alle zampe piumate dell'uccello. Mutus deriva dal latino e significa "muto", con riferimento al canto gracido del maschio.
Canto Pernice bianca.
Pernice bianca, ottobre, Parco Nazionale dello Stelvio.
Pernice bianca, ottobre, Parco Nazionale dello Stelvio.
Purtroppo non tutti si avvicinano a questi straordinari animali con l’ammirazione e il rispetto dovuto a chi sa sopravvivere a condizioni estreme, è assurdo ma ancora oggi la Pernice bianca è nella lista delle specie cacciabili, una vera vergogna.
Pernice bianca, febbraio, Engadina.
Per approfondimento vi invito a leggere questo articolo tratto dal sito web ACE-SAP dedicato alla Pernice bianca.
Ovunque inconfondibile, ovunque candida d'inverno, la pernice bianca è emblematico esempio di quel fenomeno di micro-differenziazione che si verifica in risposta alla separazione geografica tra le popolazioni di una stessa specie con abitudini non migratorie. Il suo areale è virtualmente immenso, ma frammentato in un gran numero di differenti sistemi montuosi ed aree relitte di tundra.
La sua storia evolutiva recente è legata alle glaciazioni del quaternario, che ne hanno permesso la diffusione dalle zone artiche di origine fino all'Europa meridionale, attraverso vasti corridoi ghiacciati. Al termine dell'ultima glaciazione, col ritiro della coltre bianca, alcune popolazioni si riportarono a nord, al seguito dei grandi ghiacciai scandinavi, in aree contigue e prive di vere barriere geografiche. Altre, invece, si ritrovarono su isole che il mare andava separando dal continente, ed in quelle isole compirono la loro micro-evoluzione. Altre ancora, come la sottospecie alpina, semplicemente salirono di quota assecondando i ghiacciai residui che via via si isolavano dall'originario unicum bianco in ritirata, e costituirono popolazioni relitte, isolate tra loro da zone impercorribili, nè più nè meno come il mare.
Nel Grande Nord (dove le barriere geografiche tra popolazioni limitrofe sono piuttosto blande e le condizioni ambientali risultano sostanzialmente uniformi), la nascita di sottospecie è stata abbastanza limitata; viceversa, ritrovarsi su un'isola o, scendendo di latitudine, (zone alpine!) andare incontro comunque ad un isolamento geografico che implica l'adattamento a situazioni ambientali distinte, ha favorito la differenziazione in nuclei genetici ormai ben separati.
Le circa 30 sottospecie riconosciute all'interno della complessa classificazione della pernice bianca vanno dunque interpretate come testimonianza di mirabile adattamento.
Nell'ininterrotto tentativo di risultare poco visibile (criptica) nello spoglio ambiente che frequenta, la pernice bianca ha un piumaggio che si potrebbe definire "in continua transizione", tra un abito invernale quasi completamente candido (escluse le timoniere e - nei maschi - le redini, entrambe nere), ed un abito estivo grigio-bruno screziato con ali e parti inferiori comunque bianche.
La femmina appare (come sempre nei Galliformi) più criptica dei maschi e durante la cova rimane perfettamente immobile sul nido costruito sul terreno, confidando ciecamente nella validità del proprio mimetismo. L'altissima percentuale di successo delle sue covate, la più alta all'interno dei Tetraonidi, è la prova della validità del suo camuffamento agli occhi del nemico, costituito principalmente da rapaci, corvidi e mammiferi quali l'ermellino e la volpe.
Sebbene l'efficientissimo piumaggio isolante minimizzi la dispersione termica, le alte quote invernali vedono le temperature scendere drasticamente sotto lo zero. In tali condizioni la ricerca quotidiana di cibo rappresenta, da novembre a maggio, una sfida cruciale per il bilancio energetico, tanto più critica per un uccello che per poter volare non può appesantirsi mangiando a dismisura. La sopravvivenza è garantita soprattutto dai minuscoli salici nani (che da alberi in miniatura quali sono, hanno un alto contenuto fibroso ma un pessimo contenuto calorico e proteico) e da quel che resta delle Ericacee, che la pernice bianca ricerca sui pendii meno innevati e, al limite, scavando anche sotto la neve.
Un becco piccolo e ricurvo per tranciare ramoscelli secchi ed i minuscoli germogli dei salici nani, ed un tratto intestinale molto lungo e con diverticoli (i “ciechi”) per digerirne le parti fibrose, sono gli adattamenti morfologici messi in atto per affrontare con successo anche la più povera delle diete. Nella tarda primavera e fino all'autunno la dieta si arricchisce, potendo contare sulle diverse essenze (oltre 90!) che popolano la tundra nostrana: mirtilli, ginepro nano, rododendro, erica baccifera, azalea alpina ed altre, unitamente a molluschi e insetti, utilizzati prevalentemente dai pulcini.
Scrive Francesco Borzaga, Presidente del WWF Trentino Alto Adige: "Sulle Alpi italiane la pernice bianca versa in grave e immediato pericolo di estinzione. Questa figlia dell'Artico, così legata ai ghiacciai e alla neve delle alte quote, ha ben poche difese nei confronti del mutamento climatico e delle troppo rapide trasformazioni della montagna. La scomparsa di questo splendido uccello verrebbe a significare un irrimediabile impoverimento del patrimonio naturale italiano."
I motivi che stanno causando la rarefazione della specie o addirittura la sua scomparsa da alcuni massicci montuosi sono molteplici ed in buona parte collegati fra loro. Sono molte le cause di disturbo di origine antropica, prime fra tutte un turismo sempre più impattante, la realizzazione di bacini idrici o l'attività pastorale poco controllata ad alte quote. A ciò si aggiungono però i mutamenti climatici in atto, il ritiro dei ghiacciai e la riduzione dei nevai, che hanno portato ad una drastica riduzione dell'habitat di Lagopus mutus helveticus.
Mentre la "Red Grouse", la sottospecie britannica (Lagopus scoticus) della pernice bianca nordica, unica nel genere Lagopus a non diventare bianca nella stagione fredda, ha avuto a disposizione alcune migliaia di anni per imitare nel piumaggio un ambiente (le brughiere) progressivamente più povero di precipitazioni nevose, non è affatto scontato che la nostra farfalla delle nevi abbia la possibilità di adattarsi a condizioni che cambiano troppo velocemente per i ritmi lenti dell'evoluzione.
Se da un lato la maggioranza delle cause di contrazione di questa sottospespecie sono poco controllabili, appare quindi evidente che la più efficace ed immediata azione di tutela che si possa e si debba intraprendere sia quantomeno il depennamento della pernice bianca alpina dalla lista delle specie cacciabili. Di qui l'appello del WWF a fermare la caccia alla pernice bianca su tutto il territorio alpino italiano.