lunedì 22 luglio 2013

Sterne in “vacanza” sul Lario

E’ luglio, il Lario è assalito da chiassosi bagnati e invadenti imbarcazioni. Sembra impossibile che in questo antropizzato ambiente ci sia posto per l’avifauna. Devo però ricredermi perché, a distanza di pochi mesi da quando scrissi un post dedicato ai gabbiani del Lario, mai avrei pensato che mi si presentasse l’opportunità di parlare di due specie appartenenti al gruppo delle sterne (si tratta questa di una famiglia molto vicina a quella dei gabbiani). Vengo quindi a conoscenza che a Domaso è stato avvistato un Beccapesci e, visto che la fortuna assiste i tenaci, oltre al Beccapesci osservo anche una Sterna comune.
Il Lario nel mese di luglio si presenta poco accogliente per l’avifauna.


La famiglia delle sterne è caratterizzata da tipici uccelli marini appartenenti all’ordine dei Charadriiformes, uccelli di taglia medio-piccola, snelli, con ali lunghe, strette e molto appuntite, coda lunga e spesso forcuta, becco lungo ed appuntito. Volatori magistrali che in migrazione possono percorrere distanze da record. Caratterizzati dal volo leggero ed elegante, di frequente si esibiscono nel cosiddetto Spirito Santo(1) prima di tuffarsi in acqua per catturare i pesci mentre più raramente li si può osservare mentre nuotano come i gabbiani.

Beccapesci mentre fa lo Spirito Santo. Domaso (CO), luglio.
Dodici sono le specie appartenenti alla famiglia delle Sternidae  iscritte nella lista Italiana(2), comprese alcune di presenza accidentale. Essendo tipicamente uccelli marini, si sono osservate sul Lario negli ultimi decenni solo sette specie e di queste solo una, il Mignattino comune Chlidonias nigerè facilmente osservabile durante le migrazioni.

Mignattino comune, Alto Lario, aprile.
Ma veniamo ora al cuore del post odierno: il Beccapesci Sterna sandvicensis, specie raramente osservabile sul Lario, la cui ultima osservazione risale al 2001.
Beccapesci, Domaso (CO) Luglio.

Il nome Beccapésci trae origini dalla sua modalità nel catturare le prede che consiste nel lanciarsi a capofitto nell’acqua per impadronirsi dei pesci. Il nome scientifico sandvicensis deriva da di Sandwich, località della Contea di Kent nel Regno Unito, poiché la specie fu classificata da esemplari provenienti da quella località (3).





Il Beccapesci si contraddistingue per le sue esigenze ecologiche, particolarmente legate agli ambienti costieri marini per cui risulta raro osservarlo nell’entroterra. In Italia è specie migratrice e svernante e, solo dal 1979(4) nelle Valli di Comacchio è anche nidificante. La popolazione europea sverna lungo le coste occidentali africane, prevalentemente tra l’Equatore e la Mauritania. Nel Mediterraneo i contingenti svernanti per la maggior parte sono di origine nord atlantica e soprattutto russa.

Mappa riguardante la presenza del Beccapesci in Italia – Luglio 2013 – (fonte Ornitho.it)
Caratteristica che rende il Beccapesci facilmente riconoscibile è la cresta di piume sul capo.
Beccapesci - disegno di U. Catalano(4)

Altra osservazione interessante è stata quella della Sterna comune Sterna hirundo, specie considerata nelle nostre zone migratore regolare con pochissimi individui.
Sterna comune, Domaso (CO) Luglio.
Il nome scientifico Sterna hirundo deriva dal nome inglese Tera o Steru latinizzato, mentre hirundo in latino significa rondine, poiché vola continuamente come la rondine e come essa ha la coda forcuta e le ali lunghe. L’aggettivo comune del nome volgare è dato perché di fatto questa sterna è diffusa praticamente in tutto l’emisfero settentrionale del globo (Nord Americana, Caraibi, Europa, Medio Oriente, Asia e Africa settentrionale e occidentale).

Sterna comune, Domaso (CO) Luglio.
L’Italia vede la presenza della Sterna comune principalmente nell’alto Adriatico, in Friuli-Venezia Giulia e in Sardegna ed anche nell’intera Valle Padana nell’area prospiciente il corso del Fiume Po.

Mappa riguardante la presenza della Sterna comune in Italia – Luglio 2013 – (fonte Ornitho.it)
In Italia è specie migratrice regolare e nidificante, presente saltuariamente anche come svernante. A rendere inconfondibile la Sterna comune da altre specie simili è soprattutto la conformazione della coda, particolarmente lunga e di forma biforcuta. Un “accorgimento” che permette a questo uccello di volare in modo particolarmente abile.
Sterna comune - disegno di U. Catalano(4)


Curiosità: la sterna da record

Appartenete alla famiglia delle sterne, la Sterna codalunga Sterna paradisea, chiamata anche Sterna artica è famosa per la sua migrazione da record. Infatti questo uccello è diffuso nel periodo riproduttivo sulle coste europee dell'oceano Atlantico mentre sverna tra il Sudafrica e l’Antartide percorrendo migliaia di chilometri.

Sterna paradisea  - THE BIRDS OF GREAT BRITAIN, John Gould 1870

Un esempio: un pulcino implume inanellato sulle isole Farne, Northumberland, Regno Unito, nell’estate del 1982 venne ritrovato a Melbourne, in Australia, nell’ottobre dello stesso anno. In soli tre mesi dall’involo questo uccello aveva percorso una distanza di oltre 22 mila chilometri. Secondo lo studio di un gruppo di ricercatori, una Sterna paradisaea può arrivare a spostarsi, nel corso di una vita media di 29 anni, per tanti chilometri quanti ne occorrono per andare dalla terra alla luna per sei volte (2.400.000 km).



Con i suoi viaggi questo uccello vive due estati all'anno e più luce rispetto a qualsiasi altra creatura sul pianeta.



Sterna paradisaea – rosso: nidificazione, blu: svernamento, verde: migrazione
(mappa di Andreas Trepte).


(1) Lo "Spirito santo" è una particolare tecnica di volo tipica degli uccelli che cacciano attivamente. Con piccoli movimenti d'ali, questi uccelli riescono a mantenere una posizione di stallo in un punto dello spazio anche per molti minuti. Ciò dipende dal fatto che le parti prossimali delle ali sono ferme mentre le parti distali ruotano velocemente. Questo permette all'uccello di stare immobile nell'aria, formando una figura che ricorda la tipica rappresentazione dello Spirito Santo nell'iconografia classica di colomba immobile ad ali aperte.

(2) Elenco tratto dalla La lista CISO-COI degli Uccelli italiani – 2009, siglate con asterisco le specie osservate negli ultimi decenni nelle province di Como e Lecco.
Sterna scura Onychoprion fuscatus
Fraticello Sternula albifrons*
Sterna zampenere Gelochelidon nilotica
Sterna maggiore Hydroprogne caspia*
Mignattino piombato Chlidonias hybrida*
Mignattino comune Chlidonias niger*
Mignattino alibianche Chlidonias leucopterus*
Beccapesci Sterna sandvicensis*
Sterna di Rueppell Sterna bengalensis 
Sterna comune Sterna hirundo*
Sterna di Dougall Sterna dougallii
Sterna codalunga Sterna paradisaea

(3) L’etimologia ed il significato dei nomi volgari e scientifici degli uccelli italiani – Edgardo Moltoni – Milano 1946.

(4) Spagnesi M., L. Serra, (a cura di), 2003 – Uccelli d’Italia, Quad. Cons. Natura, 16, Min. Ambiente – Ist. Naz. Fauna Selvatica.

venerdì 5 luglio 2013

All’ombra del vecchio platano

Le condizioni meteorologiche quest’anno hanno condizionato molto la primavera con giornate piovose e fredde e poiché non siamo neppure abituati, ecco che il primo caldo estivo si fa sentire più del solito. Ma anziché seguire la logica e fuggire in montagna, decido di “soffrire” con un’uscita a fondovalle.
Un tratto del fiume Adda presso Delebio.
Sono in bassa Valtellina e da poco è sorto il sole ma il caldo si fa già sentire. Un vecchio platano dalle folti chiome mi ripara dal sole e lì, inaspettatamente, un appassionato di natura come me trascorre un’interessante mattinata.
Un imponete platano.
Il confine tra i campi coltivati e la vegetazione ripariale è un ‘insieme di biodiversità. Tra i vari animali non passa inosservata per l’inconfondibile canto la cannaiola verdognola.

Cannaiola verdognola Acrocephalus palustris


La cannaiola verdognola Acrocephalus palustris è un piccolo uccello dalle dimensioni di 13 cm e dal peso di 10-15 g. e non presenta nessun dimorfismo sessuale . Questa specie dalle abitudini alimentari insettivore appartiene all’ordine dei Passeriformi, famiglia Silvidi.

In questa foto un esemplare ♂ di  c. verdognola, l’identificazione sessuale è dettata dal fatto che in questa specie è solo il maschio che canta.


La cannaiola verdognola è difficilmente distinguibile dalla cannaiola comune se non dal canto. Nonostante la c. verdognola sia un’abile imitatrice dei canti di altri uccelli e plurime sono le varianti del suo canto, questo resta comunque il tratto diagnostico più sicuro per l’identificazione della specie.




Quest’uccello predilige aree riparali con salici, un fitto sottobosco e alte erbe dove poter riprodursi.
Un tipico ambiente frequentato dalla c. verdognola.
Migratrice di lunga distanza, arriva alle nostre latitudini tra maggio e giugno, in cui normalmente fa una sola nidificazione e riparte tra agosto e settembre per i quartieri di svernamento che sono prevalentemente nel sud-est dell’Africa, dallo Zambia al Malawi, fino a Città del Capo.
In blu le principali aree di svernamento della c. verdognola.


Nel continente europeo questa specie è distribuita in modo non continuativo tra la Francia orientale e la Russia, raggiungendo a nord la Svezia e a sud la Grecia e la Turchia. In Italia è presente in Pianura padana e in alcuni fondovalle dell’arco alpino.


Areale di distribuzione della c.verdognola in Italia (fonte www.Ornitho.it)



Poiché accovacciato ad osservare la cannaiola, altri animali, non accorgendosi della mia presenza, sono usciti allo scoperto.

La lepre comune Lepus europaeus, sempre molto attenta e sospettosa nonostante i suoi occhi posti ai lati del capo che le consentono di avere un campo visivo molto ampio anche se con vista modesta, non si è accorta della mia presenza. 

Lepre comune
Al contrario, il senso dell'udito è particolarmente sviluppato. La mobilità degli ampi padiglioni auricolari le permette di percepire e localizzare rumori anche minimi: è bastato il minimo rumore dello scatto fotografico a farla scomparire con due salti nel folto della vegetazione.




Molto bella e caratteristica è l’Upupa Upupa upupa, si è fatta cogliere mentre intenta nella ricerca di insetti da portare al nido.
Upupa Upupa epops

Su di un filo è appollaiato un Falco cuculo che scruta i campi in cerca di cavallette o altri grossi insetti per cibarsene. La presenza di quest’uccello un tempo era rara dalle nostre parti; oggi, durante la migrazione primaverile, è considerata regolare. Non ora però che siamo in estate e la migrazione è terminata da tempo. Ipotizzo quindi che questa femmina immatura possa essere in dispersione alla ricerca di nuovi territori e chissà che magari nei prossimi anni non nidifichi da noi!
 Falco cuculo Falco vespertinus

Poichè anche il micro mondo rivela delle interessanti osservazioni, lascio questo tema a Giancarlo che ci illustra le caratteristiche di questi coleotteri appartenenti alla famiglia degli Edemeridi.

giovedì 4 luglio 2013

Edemeridi, ovvero un argomento che scotta

Tra le foto di Coleotteri che in questo periodo Roberto mi sta passando scelgo quelle di alcuni Edeméridi (Oedemeridae), famiglia che in tutto il mondo comprende un migliaio di rappresentanti, le cui dimensioni vanno dai 5 ai 12 mm circa. Gli adulti si cibano di polline e nettare, mentre le larve sfruttano il legno morto ormai fradicio; meno di una cinquantina le specie presenti nel nostro paese. L’individuo raffigurato nella prima immagine, un maschio, dovrebbe appartenere alla specie Oedemera nobilis, mentre l’esemplare della seconda potrebbe esserne la femmina; uso il condizionale perché classificare un insetto in base alla sola fotografia è impresa tutt’altro che semplice, anzi spesso impossibile se non per sommi capi, data l’estrema somiglianza di molte specie tra loro.
Oedemera nobilis (?), maschio.

Oedemera nobilis (?), femmina
Anche se i nostri soggetti odierni, comuni sui fiori dei prati dalla tarda primavera in poi, potrebbero sembrare abbastanza insignificanti nell’ambito di una panoramica sulle svariatissime e sorprendenti forme dei Coleotteri, in realtà ci permettono di tirare in ballo più d’un argomento interessante. Incominciamo riprendendo un discorso cui avevamo già accennato a proposito degli Elateridi, la forma diversa nei due sessi. 

   Pur variando da una famiglia all’altra, nella gran parte dei casi le differenze riguardano soprattutto antenne, zampe anteriori e mandibole, che nel maschio hanno dimensioni maggiori anche di molto rispetto alla femmina (a volte, come in alcuni gruppi di Scarabeoidei, il ‘sesso forte’ inalbera sulla testa e/o sul pronoto anche corni più o meno spropositati, tanto minacciosi quanto innocui). Sovente anche il volume del corpo dell’animale segue la regola, che peraltro non è generale: in vari gruppi di Coleotteri – tra cui molti componenti dell’importantissima famiglia dei Cerambìcidi – le femmine, pur avendo appendici più ridotte, sono addirittura più grandi dei maschi. 

   Nel caso delle Oedemera, invece, le foto ci mostrano come questi ultimi siano spesso immediatamente riconoscibili dal vistoso ingrossamento delle “cosce” del terzo paio di zampe; e dato che ormai siamo abituati a chiederci il perché dei nomi scientifici, possiamo osservare come in questo caso l’etimologia sia quanto mai chiara e azzeccata. Oedemera viene infatti dal verbo oidéo = essere gonfio e da meròs = femore: “[insetto] dal femore rigonfio”  (attenzione, però: giusto per complicare la vita all’entomologo, lo specifico studioso degli insetti, ci sono anche Edemeridi in cui i femori dei maschi non sono ingrossati).
Maschio di una specie con femori normali?
Dopo averne dedotto che quel tratto della zampa di un Coleottero, anzi di un insetto in genere, porta lo stesso nome dell’osso principale della nostra gamba, approfittiamone per battezzare anche il resto. La descrizione anatomica ci servirà, tra l'altro, per definire un carattere esclusivo degli Edemeridi e di alcune famiglie loro vicine. 

Osserviamo l’esemplare della seconda foto, in cui la struttura degli arti è particolarmente evidente nell’ultimo paio. Sorvolando su due pezzi di piccole dimensioni – qui non visibili – mediante i quali la base del femore si articola alla superficie ventrale del torace, prendiamo in considerazione solo le parti più appariscenti della zampa: all’altra estremità del femore si innesta ad angolo il lungo segmento detto tibia, cui è a sua volta collegata una serie di segmenti più piccoli, denominati complessivamente tarso (l’elemento più lontano dal corpo, diverso dagli altri in quanto porta le due unghiette per la presa, viene distinto col nome specifico di pretarso).


Un maschio

 Una femmina con l’addome gonfio di uova.

Ed eccoci al dunque. Nella maggioranza dei Coleotteri i pezzi che compongono il tarso, tecnicamente tarsòmeri, sono in numero di tre in ognuna delle paia di zampe; nei nostri Edemeridi, invece, le anteriori e le medie hanno un tarsomero in più. Questa caratteristica, condivisa con una quindicina di altre famiglie (ricordiamo che l’intero ordine ne conta circa 120), le ha fatte riunire in una categoria a sé stante, detta degli Eteròmeri: termine che significa letteralmente ‘con parti diverse’. Se siete sopravvissuti fin qui vi spiegherò perché li ho tirati in ballo.

Gli Edemeridi sono chiamati in inglese pollen-feeding beetles, ‘Coleotteri che si cibano di polline’, ma anche false blister beetles, espressione che può essere tradotta con ‘falsi Coleotteri delle vesciche’: denominazione altrettanto precisa, ma che per i più necessita di una spiegazione.


La femmina di un’altra specie indeterminata.

I “veri” Coleotteri delle vesciche sono un’altra famiglia di Eteromeri, i Meloidi, che degli Edemeridi sono parenti molto stretti. Il loro appellativo è dovuto al fatto di contenere una sostanza tossica estremamente irritante, la cantaridina (nome derivato da quello della specie più famosa, la Cantaride), il cui contatto con l’epidermide causa vere e proprie ustioni simili a scottature, con la formazione delle relative bolle. 

Secondo i medici empirici dei secoli fortunatamente passati, questo processo contribuiva a stimolare la guarigione da alcune malattie e ad alleviare certi tipi di dolori. Fu così che la Cantaride o ‘mosca di Spagna’, raccolta in gran numero, essiccata e ridotta in polvere, entrò a far parte di appositi preparati da applicare sulla pelle, i cosiddetti vescicanti, ancora in uso almeno fino alla fine dell’800. Una cura del genere era però quanto mai fastidiosa, tanto che nell’antico dialetto milanese la parola ‘vescicante’ aveva preso anche il senso traslato di ‘seccatore, rompiscatole’. Da bambino, nei primi anni '50 del secolo scorso, feci in tempo a sentir citare il termine (che oggi credo pressoché scomparso) da un anziano milanesone, appassionato cultore dell’ idioma ambrosiano d’altri tempi, il quale riferendosi a una certa persona importuna ne dava a mia madre questa definizione: “Sciura, quell lì l’è un vesigaant”. 



Tornando ai nostri Edemeridi, anch’essi come i loro cugini contengono cantaridina, meritandosi dunque pienamente il nome inglese; attenzione perciò a non schiacciarvene inavvertitamente uno addosso.



Ancora una femmina con uova.
Per inciso e per finire, la Cantaride entrava anche nella composizione di un altro tipo di farmaci, da prendere per bocca, cui si attribuiva la facoltà di aumentare la potenza sessuale maschile. Se ai nostri giorni di questo effetto si mettono in discussione perlomeno la regolarità e l’intensità, è fuor di dubbio che l’ingestione di cantaridina, anche in piccolissime dosi, provoca gravi e irreparabili danni ai reni; del resto diversi scrittori greci di storia naturale, tra cui Aristotele, raccontano come un erbivoro che avesse ingerito insieme con l’erba del pascolo un non meglio specificato Meloide fosse condannato a morire di una gravissima e presumibilmente dolorosissima infiammazione interna. 

Ma dell’insetto che in greco antico era detto “il bruciabovino” e delle successive vicende di tale nome, oggi attribuito a torto a tutt’altra famiglia di Coleotteri (completamente innocui), riparleremo quando Roberto ci regalerà qualche scatto in proposito.

Giancarlo Colombo