La famiglia cui appartiene il maggiolino, derivata dal suddetto genere Scarabaeus, ricevette a suo tempo il nome di Scarabaeidae. Era tra le più vaste dell’intero ordine dei Coleotteri ed essendo diventata anch’essa troppo estesa – le specie sinora classificate nel mondo sono più di 30.000 – da qualche decennio è stata ‘promossa’ al rango di super-famiglia degli Scarabaeoidea (poco più di 350 le specie italiane), mentre quelle che un tempo erano le sue sottofamiglie sono state trasformate in altrettante famiglie, ciascuna comprendente un minor numero di componenti.
Tra esse gli attuali Melolonthidae, un tempo sottofamiglia Melolonthinae, che nel nostro paese comprendono una novantina di specie, le cui misure variano da circa mezzo centimetro a 4 cm. Di queste ultime dimensioni è il grande, non comune e bellissimo Polifilla o Maggiolino marmoreggiato dei pini (nero o marrone rossiccio con ghirigori di scagliette bianche e, nel maschio, i mazzetti di lamelle delle antenne sviluppatissimi, a forma di eleganti ventagli ricurvi).
Il genere Melolontha da noi conta 4 specie, l’ultima delle quali, Melolontha sardiniensis, esclusiva della Sardegna come dice il nome, è stata scoperta e classificata solo nel 1999. Melolontha melolontha, diffusa in parte dell’Europa meridionale e in quella centro-orientale (da noi la si trova dal sud delle Alpi fino al Lazio), era un tempo comunissima, fino a costituire in certe annate un vero flagello.
Eccone il ciclo vitale.
La femmina depone le uova nel terreno, dove la larva si nutre di radici (in
particolare di piante erbacee), crescendo per tre anni prima di raggiungere le
dimensioni necessarie alla trasformazione in adulto. A maggio quest’ultimo
sbuca da sotto terra e a sera vola di albero in albero rodendo le foglie
giovani, ma in mancanza di foglie attacca qualunque vegetale abbastanza tenero.
La durata dello
sviluppo della larva spiega perché l’insetto
apparisse in gran numero ogni tre anni; qualche ritardatario aveva
comunque dato luogo a generazioni che comparivano anche nel periodo intermedio,
sia pure con un numero di individui molto minore.
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Larve di Maggiolino - Melolontha melolontha L.
(foto www.sekano.es)
www.agraria.org
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I maggiolini
abbondarono fino all’epoca della mia adolescenza, intorno agli anni ’60: il padre di un mio amico lecchese
gli raccontava come in altri tempi si ricompensassero con piccole mance i
bambini incaricati di raccoglierli, che ne riempivano borse intere. Nei secoli passati si ricordano addirittura vere carestie
causate da questi scarabei, come per esempio
nel ’600 in una contea irlandese, dove la popolazione fu costretta a
sopravvivere mangiandoli, dato che avevano finito col fare piazza pulita di
ogni pianta commestibile sia coltivata sia spontanea.
In casi particolarmente gravi, i
maggiolini – come bruchi o altri insetti dannosi – nel Medioevo venivano
portati in tribunale, dove erano processati per i danni arrecati alla campagna.
Si ha notizia di un processo avvenuto in Svizzera in cui i coleotteri, nonostante
la difesa di un brillante avvocato, furono condannati a lasciare immediatamente
il territorio pena la scomunica. Ovviamente rimasero dov’erano, continuando a
fare i loro guasti; e il fatto che li facessero da scomunicati non dovette
costituire per i contadini una gran consolazione.
Il nome comune italiano
dell'insetto è particolarmente appropriato, in quanto di regola gli esemplari
più precoci non compaiono prima della fine di aprile e pochi ne restano in
circolazione dopo gli inizi di giugno. Di origine e forma chiaramente toscane,
“maggiolino” non solo ha buona diffusione in tutte le regioni del nostro paese
in cui la specie è presente, ma a quanto pare è ben radicato nella lingua
parlata: prova ne sia il fatto che è sopravvissuto alla scomparsa dello
scarabeo cui si riferiva in origine.
Oggi infatti vengono spesso
chiamati maggiolini certi parenti relativamente stretti della Melolontha
melolontha ma notevolmente più piccoli, appartenenti, per chi volesse
saperne di più, ai generi Rhizotrogus e Amphimallon. Oltre che
nella classificazione, l'inesattezza è prima di tutto nell'indicazione di
tempo, dato che questi post-maggiolini, almeno nel nord della penisola, volano
nelle belle serate di giugno inoltrato o addirittura in luglio; varie specie
dell’Italia centrale e meridionale circolano fino a settembre e ottobre.
Superfluo dire che l’estrema rarefazione del “vero” maggiolino è effetto
dell’inquinamento, dei diserbanti e degli insetticidi; di questi ultimi,
secondo dati di qualche anno fa, nella sola Italia si è impiegato nel 2008 un
terzo del quantitativo usato nell’intera Europa.
Per quanto riguarda i nomi
dialettali dell’insetto, mi limito a citare quello che ho sentito usare più
spesso a Lecco, dove sono nato: panigaröla. Riguardo al suo significato
e alle sue origini, tutto quello che posso offrirvi è una mia ipotesi; vi prego
dunque di accettarla, come si dice, con beneficio d'inventario.
Panigàda si chiama dalle nostre parti
l'infiorescenza del sambuco, che incomincia a sbocciare verso la fine di aprile
ed è visitata da varie specie di Coleotteri Scarabeoidei amanti delle sostanze
zuccherine, tra cui in particolare la ben nota Cetonia, dal bel colore verde
metallico, lunga fino a un paio di centimetri o poco più. Se ne fosse attirato
anche il maggiolino, saremmo a cavallo: la qualifica di panigaröla
sarebbe giustificata dal fatto che lo si trova sulla panigàda.
Ma le Melolontha non frequentano affatto i fiori, essendo, come già
detto, specifiche divoratrici di foglie.
Panigaröla si applica però anche alla
Cetonia, facendomi sorgere il dubbio che in origine la vera titolare del nome
potesse essere lei, ai sambuchi fioriti particolarmente affezionata: il
significato del vocabolo, con la solita imprecisione della lingua popolare nei
confronti degli insetti, si sarebbe poi allargato a designare anche (e
soprattutto) il suo cugino dannoso, oggetto di conversazione ben più frequente
e importante per coloro che vivevano del lavoro dei campi.
E visto che ci siamo occupati di
etimologia, da dove viene il nome scientifico di Melolontha creato da
Linneo?
Va detto innanzitutto che il
naturalista, come tutte le persone colte del suo tempo, aveva studiato il greco
e il latino; e nei classici greci era andato a cercare i nomi di molti animali,
nomi che poi, in forma latinizzata, attribuiva alle specie che classificava.
In un verso della commedia Le
nubi, Aristofane – il più grande poeta satirico dell’antica Grecia, nato
intorno alla metà del V secolo a. C. – paragona la fantasia “alla melolónthe
che il fanciullo fa volare attaccata a un filo”. Sappiamo solo che la parola
indicava un Coleottero, ma ignoriamo quale; e dato che (se ben ricordo) il
maggiolino non è presente in Grecia, o perlomeno non vi è comune, gli studiosi
ritengono che il termine melolónthe indicasse invece la Cetonia.
Il maggiolino è però presente nel
sud della Svezia, dove viene chiamato Ollonborre. Evidentemente, i
bambini svedesi (e forse da piccolo lo stesso Linneo) lo facevano volare
attaccato a un filo, come anch’io ho visto fare negli anni ’50 al paese dei
miei nonni materni, nelle campagne del Piemonte; lo studioso deve aver creduto
che melolónthe significasse maggiolino e così ha attribuito a quest’ultimo
il nome latinizzato di Scarabaeus melolontha.
Concludo con un’altra curiosità
riguardante i dialetti. Un appassionato e minuzioso raccoglitore di memorie
torinesi, Alberto Viriglio, ai primi del ’900 riporta nel suo libro Vecchio
Piemonte una formula in rima che a Torino e dintorni i bambini dei tempi in
cui lo era lui, nato nel 1851, rivolgevano al maggiolino (chiamato
in dialetto gìvu) praticando proprio quel gioco. Dopo aver legato
l’insetto per una zampa gli si intimava: Givu givòla, marcia a scola!,
maggiolino maggiolinetto – ma la finale “òla” è tipicamente canzonatoria
– fila a scuola!
In caso di rifiuto bastava lanciare
il coleottero in aria, in modo che nel sentirsi ricadere aprisse le ali e
prendesse il volo. Ma la sua apparente libertà non durava a lungo. Dopo averlo
lasciato ronzare per un po' seguendolo come fosse un cane al guinzaglio, il suo
carceriere lo tirava indietro con un brusco strappo, impartendogli il
contrordine: La scola l’é sarà, turna a cà! La scuola è chiusa, torna a
casa!
Sia pure senza l’accompagnamento
della cantilena, dicevo poco fa che quel gioco ho fatto in tempo a vederlo
praticare anch’io. Ma il mondo cui apparteneva è ormai lontano quanto Viriglio
o Linneo o lo stesso Aristofane: perduto per sempre.
Giancarlo Colombo.