lunedì 24 febbraio 2014

Il cigno nero: una specie aliena sul Lario

Un giornale locale esordisce così riportando la notizia:
“Che meraviglia quel cigno nero arrivato sul lungolago di Lecco.
Non è uno scherzo della natura. E' proprio nero quel cigno che da circa una settimana vive con la comunità di esemplari dalle piume bianche che popolano il lungolago di Lecco (…)”

 

Dopo alcuni giorni vengo contattato telefonicamente da un amico che, con fare stupito tipico di chi ha visto qualcosa di straordinario, mi ha informato della presenza di un cigno nero (Cygnus atratus) nei pressi della Riserva Naturale del Pian di Spagna.
Vista la curiosità scatenata dalla presenza di questo animale, reputo opportuno portare sul blog alcune riflessioni a riguardo.

 

1_2014-02-24_Cigno nero_Pozzo di Riva (44) (Large) Cigno nero (Cygnus atratus), Novate Mezzola (SO) località Pozzo di Riva

 

L’uccello in questione non è il risultato di una mutazione melanica di qualche particolare specie di cigno bianco, si tratta invece di una specie molto comune in Australia meridionale e nel sud-est della Tasmania. L’osservazione di questi uccelli fuori dal loro continente originario, è conseguenza di un’importazione di questa specie, fuggita alla cattività o liberata volutamente.
Non ci troviamo di fronte ad una specie rara visitatrice occasionale, ma ad una specie alloctona detta anche “aliena”, “esotica” o “introdotta”; in pratica si tratta di una specie trasportata al di fuori della sua capacità di distribuzione per l'azione diretta o indiretta dell'uomo.

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Il termine alloctono ci mette subito in allarme per le eventuali ripercussioni che potrebbe avere sull’ambiente: uno studio pubblicato su “Frontiers of Ecology and Environment” – prestigiosa rivista della Società Americana di Ecologia riporta: Sono oltre 10000 le specie alloctone esotiche presenti in Europa e oltre 1000 quelle invasive che provocano impatti deleteri per l’ambiente e per le altre specie autoctone.

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Perché le specie alloctone invasive sono pericolose per le altre specie? Tanto per cominciare, possono portare parassiti o malattie per i quali le altre specie non posseggono un sistema immunitario adeguato a fronteggiarle; inoltre le specie alloctone possono essere dei predatori o dei competitori che possono quindi cacciare fino all'estinzione delle specie autoctone.


Da sempre l'uomo ha introdotto specie alloctone in giro per il mondo, basti pensare alla diffusissima robinia (Robinia pseudoacacia), essenza arborea, importata in Europa nel XVII secolo che ora ha completamente stravolto l’aspetto boschivo di intere aree del fondovalle. Altro esempio è dato dai ratti che, originari dell’Asia, hanno invaso tutto quanto il pianeta, seguendo le immigrazioni dell'uomo. Tantissime specie sono state introdotte anche su isole remote dove vi erano presenti altre assolutamente incapaci di rispondere adeguatamente alla presenza di questi nuovi invasori provocando estinzione di tantissime specie. Purtroppo l’elenco di questi esempi è lunghissimo da riempire intere pagine.

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Ritornando al Cigno nero, argomento di questo post, la speranza dei naturalisti è legata al fatto che questa specie alloctona resti non invasiva, pertanto si auspica non si comporti come il Cigno reale (Cygnus olor), il quale, pur essendo specie originaria delle regioni nordiche dell’Eurasia, è sfuggito alla cattività o è stato rilasciato in natura acclimatandosi alla nostra latitudine fin dagli anni ’30 - ‘40 divenendo sedentario nidificante fin dagli anni ’60 - ‘70 del secolo passato.

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 Cigno nero (Cygnus atratus) e Cigno reale (Cygnus olor), Novate Mezzola (SO) località Pozzo di Riva

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Mappa delle osservazioni di Cigno nero avvenuta nell’ultimo anno in Italia (fonte Ornitho.it).

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domenica 9 febbraio 2014

Sepolti dalla neve nell’anno senza inverno

Non vorrei essere ripetitivo, ma anche questo post è dedicato alla montagna d’inverno, d’altra parte un anno così abbondate di precipitazioni nevose non capita molto spesso ed ecco allora una serie di immagini scattate nei pressi del passo Maloja, in Engadina, dove, come in altre località alpine, la neve ha raggiunto spessori di una certa importanza.

La Val Bregaglia vista dal passo del Maloja.

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Sul valico del Maloja, immersa nella natura, la “Torre Belvedere” si affaccia sul precipizio che separa bruscamente l’Engadina dalla Val Bregaglia. Nonostante il suo aspetto medioevale, questa costruzione è risalente al 1882.

 

 

 

 

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Sul culmine del passo Maloja sorge l’attuale albergo Maloja Kulm, un tempo questo edificio era adibito ad ospizio, un luogo dove forestieri e pellegrini potevano trovare temporaneamente alloggio ed assistenza. La maggior parte di queste strutture furono fondate e mantenute da ordini religiosi ed erano frequenti nei secoli passati sui numerosi valichi alpini.

 

 

 Il piccolo villaggio di Maloja.

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Il passo del Maloja (1809 m s.l.m) è situato sulle Alpi Retiche, nel cantone dei Grigioni in Svizzera e fa da spartiacque tra il bacino idrico del Mediterraneo e quello del Mar Nero. Questo valico collega l’Italia alla Svizzera attraverso la Val Bregaglia, valle attraversata dal fiume Mera che sfocia nel Lago di Como. Sul lato est un insieme di rigagnoli rappresenta la sorgente del fiume Inn il quale scorre lungo l’altipiano dell’Engadina e dell’Austria e dopo ben 517 chilometri si immette nel Danubio in Germania (a Passau) portando le proprie acque a sfociare nel Mar Nero.

 

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La neve e il vento nella notte hanno decorato il bosco.

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Un elemento caratterizzante del passo Maloja è dato dalla notevole diversità dei due versanti: il versante della Val Bregaglia è ripido fino alla cima mentre l'altro versante in Engadina, si presenta come un altopiano con una discesa progressiva a bassissima pendenza lunga circa 80 chilometri.

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La straordinarietà di questo inverno è data dalla quantità di neve che si è accumulata all’improvviso nei primi giorni del 2014, fino ad allora si potevano scorgere ancora parti scoperte di terreno. In data 9 febbraio, il servizio meteo del Maloja indicava che lo spessore della neve aveva raggiunto i 230 cm.

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Nonostante la bellezza del paesaggio innevato, va tenuto conto che la neve provoca qualche difficoltà come ad esempio il fatto che l’eccessivo accumulo sui tetti potrebbe danneggiare le abitazioni per tale motivo si consiglia la rimozione, nonostante la normativa edile elvetica preveda che per la zona alpina i tetti abbiano una capacità di resistenza a carichi di 1000 kg al metro quadrato.

 

Verrebbe spontaneo chiedersi quanto pesa la neve, a questa domanda non si può fornire una risposta certa, molti infatti sono i fattori che influenzano il suo peso specifico come ad esempio la densità che ha assunto nel corso del tempo e la differenza tra neve fresca e neve vecchia. La prima ha un peso variabile tra i gli 80 e i 200 Kg/mc, la seconda tra 200 e 500 Kg/mc.

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Anche l’agibilità delle vie risente dell’accumulo nevoso, ma per chi vive in montagna è una consuetudine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Come verrà ricordato questo inverno particolare? La risposta è in questo articolo di cui vi propongo uno stralcio:

…siamo stati catapultati all'interno di un autunno infinito ed anche se sulle Alpi sono caduti metri di neve, non si può certo affermare che sia stato per mano dell'inverno. Ci avviamo mestamente alla conclusione dell'inverno meteorologico. La primavera meteorologica prenderà piede ufficialmente il 1 marzo ed anche se dovesse arrivare il freddo non si potrà certo parlare di dinamiche invernali.

Si spera che l'anticipo primaverile che ci sta investendo, assolutamente inadeguato, possa condurci verso un salvagente invernale in extremis. Forse una piccola speranza c'è ancora, ma perché possa definirsi tale dovrebbe necessariamente realizzarsi entro le prossime 2 settimane. Dovesse accadere più in là, saremo costretti ad annoverare eventuali sfuriate fredde tra i più "classici colpi di coda" marzolini. Sarà lecito parlare di avvio primaverile "freddo", questo senz'altro, ma a qual punto il 2013-2014 verrà ricordato come l'anno "senza inverno".

giovedì 6 febbraio 2014

Tra natura e tradizioni

Pochi giorni fa ho avuto l’opportunità di fare una breve visita al Parco Nazionale del Gran Paradiso, in questo post vi propongo una serie di scatti.

Prima però voglio fare un breve accenno alla fiera di Sant’Orso che si è svolta ad Aosta il 30 e 31 gennaio e che è considerata la più antica del mondo.

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Questa manifestazione propone i prodotti ricavati dalle attività tradizionali delle vallate valdostane: scultura ed intaglio su legno, lavorazione del ferro battuto, tessitura del “drap” (stoffa in lana lavorata su antichi telai in legno), merletti, attrezzi in legno per la campagna e per la casa. La straordinarietà di questo evento va ricercata nelle sue origini, la tradizione fa risalire la nascita di questa fiera nell’anno 1000.

Alcuni racconti leggendari narrano che tutto ebbe inizio proprio di fronte alla Collegiata che porta il nome di Sant’Orso, la chiesa dove il Santo, vissuto prima del IX secolo, sarebbe stato solito distribuire ai poveri, indumenti, attrezzi di legno per il lavoro dei campi e “sabot”, tipiche calzature in legno ancor’oggi presentate alla fiera. 

Nonostante la leggenda la collochi all’inizio del millennio, i primi documenti storici che citano questo evento sono risalenti all’anno 1243.

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Il lavoro artigianale è nato nelle lunghe e fredde giornate invernali dove gli abitanti dei territori montani erano impossibilitati dalle condizioni climatiche a proseguire le loro attività agricole e pastorizie, adoperandosi nella costruzione di attrezzi e/o sculture in legno per poi ricavarne un guadagno seppur minimo. Come è facilmente immaginabile, la vita in questi territori non era cosa semplice, poiché l’essere umano non è dotato di caratteristiche fisiche tali da affrontare facilmente il clima rigido invernale, pertanto con il trascorrere dei secoli l’uomo ha sviluppato la sua capacità di creare strumenti utili a superare i rigori dell’inverno.

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Il tipico artigianato valliginano denominato intaglio a punta di coltello.

 

 

 

 

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Scultura in legno dove viene rappresentato l’interno di una dimora dell’epoca dove i contadini condividevano l’abitazione con i propri animali per riscaldarsi nei rigidi inverni.

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Oggi è giorno di festa anche per i passeri

 

 

 

 

 

 

 

Gli animali selvatici, a differenza degli uomini, nel corso della loro evoluzione hanno sviluppato strategie diverse di sopravvivenza: gran parte degli uccelli migrano in territori idonei, i mammiferi sviluppano determinati adattamenti in base alle loro caratteristiche peculiari, ad esempio le marmotte si rintanano e vanno in letargo riducendo al minimo le proprie funzioni vitali rimanendo in stato di quiescenza abbassando la temperatura corporea e nutrendosi delle riserve di grasso immagazzinate durante i mesi autunnali. Altri mammiferi come ad esempio gli ungulati, trascorrono l’inverno nei boschi e sulle rocce alla ricerca di cibo.

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Trovarsi immersi  nel suggestivo paesaggio montano invernale con i suoi animali selvatici regala un misto di suggestioni e stupore e con queste immagini mi auguro di potervi trasmettere le emozioni che ho provato visitando la Val di Cogne nel Parco Nazionale del Gran Paradiso.

 

 

 

  Il piccolo borgo di Lillaz si risveglia in una classica giornata invernale.

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A Cogne nevica copiosamente.

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Il volo inconfondibile delle cesene (Turdus pilaris), che affamate sono attratte dalle ultime bacche rimaste di sorbo degli uccellatori.

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La pecceta è ricamata dalla neve

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I semi contenuti negli strobili di abete rosso sono una ricca fonte di cibo per piccoli roditori e per alcuni uccelli che non  abbandonano la montagna in inverno, tra questi…

 

 

 

 

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il crociere (Loxia curvirostra) che calendarizza la propria nidificazione in funzione con la maturazione di questi semi…

 

 

 

 

 

…e la cincia alpestre (Poecile montanus) che ne trae un importante fonte di sostentamento.

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Il paesaggio è davvero suggestivo…

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…nel cielo grigio in lontananza volteggiano due aquile reali (Aquila chrysaetos), per loro è già iniziata la stagione della  riproduzione.

 

 

 

 

 

Questo è il regno del camoscio, che grazie alla decennale protezione dovuta all’istituzione del Parco si lascia avvicinare senza timore.

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In questo periodo predilige il bosco, dove più facilmente si può alimentare in qualche raro spazio lasciato libero dalla neve.

 

 

 

 

 

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…una femmina con il suo capretto.

 

 

 

 

 

 

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nonostante siano abituati alla neve, trovano difficoltà muoversi nella spessa coltre nevosa.

 

 

 

 

 

 

 

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Lo stambecco frequentando le ripide pareti rocciose dove la neve non raggiunge spessori alti trova sempre qualcosa per alimentarsi

 

 

 

 

 

la pernice bianca, in mancanza di altro, si accontenta di piccoli rametti…

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Sul candido manto una lepre bianca allarmata fugge sollevando sbuffi di neve.

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si ritorna a valle e vicino alle baite ci aspetta uno bella sorpresa…

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una volpe è in cerca di cibo, la fame e la sua dieta onnivora la spinge fino alle case del suo peggior nemico, l’uomo.

 

 

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la giornata volge al termine e il piccolo paese sta per riaddormentarsi.

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