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martedì 8 marzo 2016

Un giorno in bianco e nero

Con il mese di dicembre è iniziata sulle nostre Alpi la stagione invernale 2015–2016 all’insegna di un clima mite e secco. E’ solo con il mese in corso di marzo che abbiamo assistito finalmente ad una nevicata degna di questo nome! Un’occasione da non perdere quindi e poiché il meteo prevede sole… inforco le mie ciaspole e parto con la speranza di fare qualche scatto. L’aspettativa del bel sole svanisce subito: un bianco cielo e una bianca neve non sono certo le condizioni migliori per una foto naturalistica! Che fare? Lasciare la macchina fotografica nello zaino o provare altre esperienze fotografiche? Memore del mio passato di dilettante in camera oscura opto per la vecchia e interessante tecnica del bianco e nero. Di seguito propongo alcuni scatti di questo suggestivo ambiente monocromatico…

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Il morbido paesaggio innevato.

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Il silenzio è interrotto dal calpestio delle ciaspole e dal fruscio del vento.

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Un larice spicca sul candido manto bianco increspato dal vento.

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Uno stambecco solitario.

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Una lepre bianca tradisce la sua presenza.

 

 

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La fotografia racconta i momenti che stai vivendo come fosse un’autobiografia, immagini che risvegliano, anche a distanza di tempo, ricordi ed emozioni.

giovedì 5 marzo 2015

La primavera dello stambecco

È primavera anche per gli animali alpini, non tanto perché il calendario meteorologico fa iniziare la bella stagione il primo di marzo ma perché quest’anno sulle Alpi le precipitazioni nevose non sono state abbondanti come l’anno passato (LINK) e il precoce scioglimento della neve ha liberato porzioni di pascolo fornendo nuova opportunità alimentare dopo il lungo inverno povero di alimenti.

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Camoscio - Rupicapra rupicapra, marzo, Parco Nazionale del Gran Paradiso (AO).

Presto i pascoli, ora ingialliti, vedranno lo spuntare dell’erba fresca e ricompariranno gli uccelli che hanno scelto di svernare lontano migliaia di chilometri occupando territori che altri strateghi della sopravvivenza non hanno mai abbandonato. Più volte su questo blog ho portato esempi di queste strategie, diverse ma affascinanti, come ad esempio quelle messe in atto dalla pernice bianca o dal culbianco.

Tra le varie strategie di “vivere al limite della sopravvivenza” troviamo anche quella dello stambecco delle Alpi (Capra ibex ibex) che trascorre l’inverno non tanto in fondovalle -come invece ci si aspetterebbe- ma sulle impervie pareti rocciose o ripidi pendii oltre il limite della vegetazione dove anche la neve non ha modo di accumularsi lasciando scoperti pochi e poveri vegetali da qui trarre qualche nutrimento. Con lo sciogliersi della neve e il rispuntare della nuova vegetazione lo stambecco scende a valle attratto dalla tenera erba dopo mesi di alimenti coriacei e poveri di sostanza.

Poterlo vedere e godersi lo spettacolo è davvero un’occasione da non perdere, specialmente se si è nel suo regno: il Parco nazionale del Gran Paradiso.

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Maschio adulto di stambecco delle Alpi - Capra ibex ibex, marzo, Parco Nazionale del Gran Paradiso (AO).

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Sulla biologia e la storia dello stambecco abbiamo già parlato su questo blog (LINK) ma l’incontro avuto con questo fiero esemplare porta a fare alcuni approfondimenti su alcune caratteristiche peculiari che lo rendono unico nel suo adattarsi alla vita estrema.

 

 

Gli zoccoli

Lo stambecco è un ungulato di forme pesanti dove la sua conformazione fisica è caratterizzata da notevoli masse muscolari che rivelano un adattamento alla vita negli ambienti aspri e rocciosi. Le zampe, piuttosto corte, sono dotate di zoccoli particolarmente morbidi da permettere un’aderenza al procedere sulla roccia. Questi zoccoli inoltre hanno due “pinzette” notevolmente divaricabili e indipendenti tra loro nel movimento, consentendo all’animale di sfruttare al meglio anche i più piccoli appigli rocciosi. La mancanza della membrana interdigitale, presente invece nel camoscio, conferma la scarsa attitudine dello stambecco al procedere in ambenti con importante copertura nevosa, un vero esempio evoluzionistico specializzato in un ambiente rupicolo.4_Stambecco_PNGP024 (FILEminimizer)

Il mantello

A noi umani, abituati al caldo tepore delle nostre case, viene spontaneo chiedersi come faccia lo stambecco a resistere alle rigide temperature invernali che si registrano alle alte quote in cui vive. In realtà questo bovide ha sviluppato un mantello molto efficace per cui in estate il suo pelo (giarra) è fitto e ruvido mentre in autunno un pellame fitto e lanoso (borra) si sovrappone al primo dando all’animale una notevole protezione alle basse temperature.

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Un maschio adulto di stambecco ha un peso variabile tra 65 e 100 kg ma può raggiungere pesi molto superiori (140 kg) nel tardo autunno quando accumula sul dorso e nei fianchi una notevole riserva di grasso utile per la sopravvivenza invernale.

 

 

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Le corna

Come in tutti i bovidi, le corna sono presenti in entrambi i sessi: nei maschi sono molto sviluppate e raggiungono 85-100 cm per 4,5 kg di peso nell’individuo adulto. Lo sviluppo delle corna inizia poco dopo la nascita e continua fino alla morte dell’individuo. Osservando i vari stadi di accrescimento si può stabilire l’età dell’individuo.

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Nell'ambiente alpino lo stambecco non ha praticamente nemici naturali tranne l'aquila reale che, a volte, attacca i piccoli stambecchi. La vita media di uno stambecco è di circa 18/22 anni, se escludiamo le pratiche venatorie. La morte in natura di alcuni individui può essere causata da cadute, da valanghe o da frane.

 

 

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Come lo stambecco anche il camoscio sfrutta piacevolmente il disgelo della neve.

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Se l’innevamento è cospicuo la difficoltà di reperire risorse vegetali porta il camoscio a nutrirsi anche della dura corteccia lasciando inevitabili tracce.

 

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Ora che sono ben alimentati, possono spendere le energie anche in corse improvvise…

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Non tutti però potranno godere della tanto attesa primavera. Questa carogna di camoscio non presenta tracce di predazione. Probabilmente l’animale è deceduto per qualche patologia come, ad esempio, la cheratocongiuntivite infettiva, una malattia contagiosa che colpisce in modo particolare il camoscio e in modo meno rilevante lo stambecco, manifestandosi con lesioni oculari più o meno gravi che possono portare alla cecità dell’animale e pertanto alla morte per stenti.

 

Si sa, in natura nulla va perso, la carogna è già stata trovata dal corvo imperiale, dalla volpe, dall’aquila reale e quando resterà solo la carcassa ci penserà il Gipeto a riciclare tutto.

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Il Corvo imperiale (Corvus corax) attende paziente di poter proseguire il pasto.

 

 

 

 

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Non sfugge la presenza di questa carogna al fine fiuto della volpe (Vulpes vulpes).

 

 

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Alta in cielo un’aquila reale (Aquila chrysaetos) con la sua acuta vista aspetta che la situazione sia tranquilla prima di avventarsi sui resti di questo camoscio.

 

 

Fino a qui abbiamo vissuto quella che è la primavera per alcune specie di fauna alpina ma non è difficile immaginare come nei tempi passati fosse difficile la vita dell’uomo in questi luoghi. Possiamo quindi ben comprendere come fosse tanto festeggiato l’arrivo della primavera!

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Piccolo nucleo abitato in Valsavaranche


Bibliografia

Mustoni A., Pedrotti L., Zanon E. e Tosi G., 2002 - Ungulati delle Alpi. Nitida Immagine Editrice – Cles (TN)

giovedì 6 febbraio 2014

Tra natura e tradizioni

Pochi giorni fa ho avuto l’opportunità di fare una breve visita al Parco Nazionale del Gran Paradiso, in questo post vi propongo una serie di scatti.

Prima però voglio fare un breve accenno alla fiera di Sant’Orso che si è svolta ad Aosta il 30 e 31 gennaio e che è considerata la più antica del mondo.

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Questa manifestazione propone i prodotti ricavati dalle attività tradizionali delle vallate valdostane: scultura ed intaglio su legno, lavorazione del ferro battuto, tessitura del “drap” (stoffa in lana lavorata su antichi telai in legno), merletti, attrezzi in legno per la campagna e per la casa. La straordinarietà di questo evento va ricercata nelle sue origini, la tradizione fa risalire la nascita di questa fiera nell’anno 1000.

Alcuni racconti leggendari narrano che tutto ebbe inizio proprio di fronte alla Collegiata che porta il nome di Sant’Orso, la chiesa dove il Santo, vissuto prima del IX secolo, sarebbe stato solito distribuire ai poveri, indumenti, attrezzi di legno per il lavoro dei campi e “sabot”, tipiche calzature in legno ancor’oggi presentate alla fiera. 

Nonostante la leggenda la collochi all’inizio del millennio, i primi documenti storici che citano questo evento sono risalenti all’anno 1243.

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Il lavoro artigianale è nato nelle lunghe e fredde giornate invernali dove gli abitanti dei territori montani erano impossibilitati dalle condizioni climatiche a proseguire le loro attività agricole e pastorizie, adoperandosi nella costruzione di attrezzi e/o sculture in legno per poi ricavarne un guadagno seppur minimo. Come è facilmente immaginabile, la vita in questi territori non era cosa semplice, poiché l’essere umano non è dotato di caratteristiche fisiche tali da affrontare facilmente il clima rigido invernale, pertanto con il trascorrere dei secoli l’uomo ha sviluppato la sua capacità di creare strumenti utili a superare i rigori dell’inverno.

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Il tipico artigianato valliginano denominato intaglio a punta di coltello.

 

 

 

 

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Scultura in legno dove viene rappresentato l’interno di una dimora dell’epoca dove i contadini condividevano l’abitazione con i propri animali per riscaldarsi nei rigidi inverni.

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Oggi è giorno di festa anche per i passeri

 

 

 

 

 

 

 

Gli animali selvatici, a differenza degli uomini, nel corso della loro evoluzione hanno sviluppato strategie diverse di sopravvivenza: gran parte degli uccelli migrano in territori idonei, i mammiferi sviluppano determinati adattamenti in base alle loro caratteristiche peculiari, ad esempio le marmotte si rintanano e vanno in letargo riducendo al minimo le proprie funzioni vitali rimanendo in stato di quiescenza abbassando la temperatura corporea e nutrendosi delle riserve di grasso immagazzinate durante i mesi autunnali. Altri mammiferi come ad esempio gli ungulati, trascorrono l’inverno nei boschi e sulle rocce alla ricerca di cibo.

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Trovarsi immersi  nel suggestivo paesaggio montano invernale con i suoi animali selvatici regala un misto di suggestioni e stupore e con queste immagini mi auguro di potervi trasmettere le emozioni che ho provato visitando la Val di Cogne nel Parco Nazionale del Gran Paradiso.

 

 

 

  Il piccolo borgo di Lillaz si risveglia in una classica giornata invernale.

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A Cogne nevica copiosamente.

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Il volo inconfondibile delle cesene (Turdus pilaris), che affamate sono attratte dalle ultime bacche rimaste di sorbo degli uccellatori.

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La pecceta è ricamata dalla neve

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I semi contenuti negli strobili di abete rosso sono una ricca fonte di cibo per piccoli roditori e per alcuni uccelli che non  abbandonano la montagna in inverno, tra questi…

 

 

 

 

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il crociere (Loxia curvirostra) che calendarizza la propria nidificazione in funzione con la maturazione di questi semi…

 

 

 

 

 

…e la cincia alpestre (Poecile montanus) che ne trae un importante fonte di sostentamento.

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Il paesaggio è davvero suggestivo…

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…nel cielo grigio in lontananza volteggiano due aquile reali (Aquila chrysaetos), per loro è già iniziata la stagione della  riproduzione.

 

 

 

 

 

Questo è il regno del camoscio, che grazie alla decennale protezione dovuta all’istituzione del Parco si lascia avvicinare senza timore.

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In questo periodo predilige il bosco, dove più facilmente si può alimentare in qualche raro spazio lasciato libero dalla neve.

 

 

 

 

 

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…una femmina con il suo capretto.

 

 

 

 

 

 

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nonostante siano abituati alla neve, trovano difficoltà muoversi nella spessa coltre nevosa.

 

 

 

 

 

 

 

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Lo stambecco frequentando le ripide pareti rocciose dove la neve non raggiunge spessori alti trova sempre qualcosa per alimentarsi

 

 

 

 

 

la pernice bianca, in mancanza di altro, si accontenta di piccoli rametti…

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Sul candido manto una lepre bianca allarmata fugge sollevando sbuffi di neve.

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si ritorna a valle e vicino alle baite ci aspetta uno bella sorpresa…

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una volpe è in cerca di cibo, la fame e la sua dieta onnivora la spinge fino alle case del suo peggior nemico, l’uomo.

 

 

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la giornata volge al termine e il piccolo paese sta per riaddormentarsi.

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