venerdì 25 ottobre 2013

Sulle rotte migratorie: il Passo dello Stelvio

Come avrete notato l’argomento migrazione compare più volte in questo blog. Per un appassionato come me, questo fenomeno ha dello straordinario: potere seguire la migrazione nelle sue fasi è un’esperienza affascinate e ricca di emozioni. Molti libri parlano di questo argomento ma capirne le vicissitudini alle quali vanno incontro questi animali durante i loro cadenzati movimenti annui è tutta un’altra cosa! Perciò per vivere “sul campo” questa esperienza, mi sono recato presso un importante “collo di bottiglia” come il Passo dello Stelvio, luogo obbligatorio di transito per diverse specie migratrici. Questa mia uscita è avvenuta dopo un periodo di giornate molto sfavorevoli sotto il profilo meteorologico che hanno indotto molti uccelli ad evitare il passaggio alpino. Il risultato odierno è stato entusiasmante con un flusso migratorio di centinaia, per non dire di migliaia, di passeriformi.

Il Passo dello Stelvio Stilfser Joch 2758 (m s.l.m.), come altri importanti valichi alpini, è un importante luogo di “migrazioni” alle quali ha anche partecipato l’essere umano. Nella zona del Passo dello Stelvio sono infatti state rinvenute tracce di un sentiero riconducibili all’età del bronzo (1700 – 1500 a.C.).
Dal caldo ed assolato fondovalle, l’attraversamento dei passi alpini porta gli uccelli a sorvolare ambienti che a questa quota possono essere trappole mortali se le condizioni meteorologiche mutano improvvisamente.
Veduta dal Passo Stelvio verso la provincia di Bolzano
Immagini del valico



Sfiorando la neve, un gruppo di fringuelli oltrepassa il passo alpino.


Dal nostro punto di vista potremmo pensare che gli uccelli abbiano delle rotte migratorie mirate ad un risparmio energetico, cioè rotte migratorie più brevi possibili per raggiungere gli areali riproduttivi o di svernamento. Quanto detto è parzialmente vero. Alcuni uccelli infatti hanno rotte migratorie su percorsi indiretti anche se apparentemente incomprensibili. Una possibile spiegazione potrebbe essere quella della sicurezza: quando la via più breve tra due punti prevede l’attraversamento di ambienti ostili o di barriere difficili da superare è possibile che, allungando di molto il percorso, si cerchi di ridurre al minimo il rischio di insuccesso. Tali spiegazioni però sembrano semplicistiche e incomplete e non convincono del tutto. Per questo motivo i ricercatori, grazie allo sviluppo di nuove tecniche basate sul DNA mitocon­driale e all’analisi degli isotopi presenti nel piumaggio di alcuni uccelli, stando studiando approfonditamente l’argomento ottenendo interessanti risultati nel campo della biogeografia del fenomeno migratorio.

Pispola

Fanello
Le insidie della migrazione sono quindi molte e tra queste troviamo anche la presenza di predatori al seguito degli stormi che attraversano i valichi e contemporaneamente cercano di procurarsi il cibo con qualche malcapitato.

Sparviero in caccia sulla neve


A queste quote il tempo varia repentinamente. Un passaggio nuvoloso o un vento contrario potrebbe essere determinante per il successo migratorio.




I giorni precedenti alla mia uscita sono stati caratterizzati da forti perturbazioni tanto che ho avuto notizia da un amico che in questo luogo alcuni giorni prima sono stati trovati diversi cadaveri di piccoli uccelli che, stremati, posandosi sulla neve morivano per ipotermia.

Fringuelli posati sulla neve ghiacciata.




Oggi le condizioni climatiche sono buone e basta una breve sosta per riprendere il volo.


In questo rigoroso ambiente, la morte di questi piccoli volatili si trasforma immediatamente in risorsa alimentare per animali quali: Corvi imperiali, Gracchi alpini, Gipeti e Ermellini che passano al setaccio la coltre nevosa per scovare qualche cadavere.
Tra le nebbie compare la sagoma di un corvo imperiale


Difficile classificare tutte le specie che sfrecciano sulla neve. Oltre a quelle già citate sono riuscito a riconoscere: cinciarelle, cincia more, cardellini, lucherini, verdoni, peppole e allodole.

Dopo aver superato la fatica del volo a 3000 m, i predatori affamati e il freddo, il viaggio che li aspetta è ancora pieno di insidie… e tra queste il piombo delle doppiette!





domenica 20 ottobre 2013

Eristalis tenax: una mosca travestita da ape

Questa volta l’insetto fotografato da Roberto ci permette di accennare a un interessantissimo fenomeno che riguarda diversi gruppi di esseri viventi, anche se proprio tra gli insetti ne incontriamo gli esempi più frequenti e vistosi: il cosiddetto mimetismo batesiano, dal nome del naturalista inglese Henry Walter Bates, che per primo lo segnalò e interpretò nell’Ottocento.

Eristalis tenax
Nella lingua corrente, il termine “mimetizzarsi” fa riferimento a come un oggetto – o un essere vivente – i cui colori siano simili a quelli dell’ambiente circostante tenda a confondersi col medesimo, risultando di conseguenza meno visibile. Lasciando perdere le tute militari e considerando in particolare gli animali, è evidente che una buona mimetizzazione può essere utile non solo a una possibile preda (che non viene avvistata e cacciata) ma anche a un predatore (che riesce ad avvicinarsi alle sue potenziali vittime senza allarmarle).

Il Succiacapre Caprimulgus europaeus L. è un tipico esempio di mimetismo crìptico. Come si può notare in questa immagine l’animale si confonde molto bene con l’ambiente circostante.

In entrambi questi casi bisognerebbe però aggiungere al termine mimetismo l’aggettivo “crìptico”, cioè che nasconde, dato che in natura si incontrano anche altri tipi di mimetismo, tra i quali appunto quello batesiano, che ha carattere unicamente difensivo: in esso, la forma e soprattutto i colori di una specie del tutto innocua sono molto simili a quelli di un’altra in qualche modo pericolosa, con la conseguenza che anche l’animale inoffensivo viene lasciato in pace dagli eventuali nemici.

Eristalis tenax
Per entrare nei dettagli, il soggetto “imitato” contiene sostanze che lo rendono tossico o disgustoso, oppure è dotato di validi mezzi di difesa di cui l’inconsapevole imitatore è privo (nel solito greco antico il verbo mimèin, da cui provengono i nostri “mimo” e “mimica”, significa per l’appunto imitare). Mangiando sia pure un’unica volta un individuo della specie velenosa o sgradevole o ben armata, o addirittura soltanto tentando di mangiarlo, un predatore si sentirà male, assaggerà un sapore repellente o sarà punto; da quel momento eviterà tutte le possibili prede con analoghe combinazioni di colori, detti di avvertimento. Gli stessi sono disposti in accostamenti molto netti, di solito a grandi macchie o strisce in cui il nero si alterna al giallo, all’arancione o al rosso, creando un vivace contrasto che si impone (e si ricorda) a prima vista.

In conclusione, il mimetismo batesiano è una sorta di bluff, che ottiene risultati analoghi a quelli del mimetismo criptico mediante la strategia opposta: protegge chi ne è dotato non nascondendolo ma mettendolo il più possibile in evidenza, per segnalare un rischio che in realtà non esiste. Per questo nel linguaggio scientifico specialistico è detto anche “mimetismo fanèrico”, cioè “che esibisce”.

E veniamo al soggetto fotografato, che una volta tanto non è un Coleottero. Abbiamo a che fare con un Dìttero, nome che significa “con due ali” (i rappresentanti di questo ordine ne posseggono infatti un solo paio, poiché il secondo si è trasformato in una coppia di organi di equilibrio detti bilancieri). L’insetto in questione è un parente delle comuni mosche e porta il nome di Eristalis tenax. Data la grande somiglianza di forma, dimensioni, colori e disegni è facilissimo scambiarlo per un’ape (che per inciso appartiene a un altro ordine, gli Imenotteri, in cui le ali sono due paia); e poiché quest’ultima, dotata di pungiglione, non viene attaccata, anche l’Eristalis è al sicuro dai predatori grazie a questo “stratagemma”.

Eristalis tenax

Ape europea Apis mellifera L.
Ho messo il termine tra virgolette, dato che ovviamente la suddetta somiglianza non è frutto di alcuna intenzione: una specie non può far nulla per diventare simile a un’altra, o per prendere i colori dell’ambiente in cui vive. Ma allora come si è sviluppato il mimetismo?

Troviamo la risposta negli studi evoluzionistici di Charles Darwin, il grande naturalista inglese che nell’Ottocento individuò il meccanismo della cosiddetta selezione naturale, in base al quale le specie viventi lentissimamente si trasformano. Eccolo, ridotto ai minimi termini.

Come ben noto, in una popolazione di animali o di piante ogni individuo nasce leggermente diverso dagli altri; tra quelli di una specie innocua esistono quindi esemplari casualmente un po’ più somiglianti a una specie pericolosa. Poiché questi individui avranno maggiori probabilità di salvarsi dai predatori, tenderanno a diventare in proporzione sempre più numerosi. Aumenteranno dunque anche le loro probabilità di incontrarsi e riprodursi, passando ai discendenti il carattere che li ha favoriti; di conseguenza il carattere stesso si farà sempre più pronunciato, più costante e più diffuso e la somiglianza si accentuerà generazione dopo generazione. Non dimentichiamo che per giungere a risultati come la straordinaria convergenza tra l’aspetto dell’Eristalis e quello dell’ape, la selezione naturale agisce senza sosta lungo centinaia di migliaia di generazioni.
Giancarlo Colombo


Immagini di Eristalis tenax





venerdì 11 ottobre 2013

Non tutti i giorni sono uguali

Ebbene sì, ci si sveglia un mattino d’autunno sorpresi da un’imprevista giornata invernale.


Gli ultimi turisti apprezzano il tiepido sole.


Il tramonto crea un gioco di ombre e luci.



Mentre due cigni in volo irrompono sul lago.

Questo è il vivere sul lario.


Quando tutti i giorni diventano uguali è perché non ci si accorge più delle cose belle che accadono nella vita ogni qualvolta il sole attraversa il cielo.
Paulo Coelho, L'alchimista, 1988

mercoledì 2 ottobre 2013

L’autunno in Val di Campo

La montagna con l’autunno porta con sé i caldi colori della vegetazione. Con questa sequenza d’immagini cercherò di descrivere la visita odierna in Val di Campo, un tipico paesaggio naturale della Svizzera, ben tenuto e ancora ricco di un suggestivo ambiente rurale.
Il paesaggio è arricchito da laghetti alpini dove si specchiano i boschi di conifere che in questo mese di ottobre offrono uno spettacolo autunnale dalle calde tonalità del giallo e dell’arancio. 
Le condizioni metereologiche inoltre durante la giornata qui trascorsa hanno condizionato in parte e suggestivamente la visione del paesaggio.

La Valle di Campo è una valle laterale della Val Poschiavo incuneata verso l’Italia e posta poco sotto il Passo del Bernina.


L’imbocco della Val di Campo è situato nei pressi di Sfazù (m 1622), piccola località sulla SS 29 la strada che conduce al Passo del Bernina, di cui non si può non notare sulla destra l’albergo che le dà il nome a questa località.
L’albergo di Sfazù (m1622) segna l’inizio della Valle di campo
Il nostro cammino inizia presso l’albergo Sfazù su una strada sterrata che si addentra subito in un bosco di conifere e, dopo una breve salita, la valle si apre mostrando alla vista un ambiente molto bello. La strada prosegue attraversando pascoli, baite, casolari e boschi di conifere che mostrano già i primi segni di quanto i colori saranno padroni all’inoltrare dell’autunno. Intorno si fanno spazio tra le nubi  alcune cime spruzzate di neve.





Sui prati ingialliti spicca il lilla del Colchico autunnale, bellissimo quanto velenosissimo fiore. La pianta nella sua interezza è alquanto velenosa per la presenza di alcaloidi particolarmente tossici concentrati in particolare nei bulbotuberi. Nonostante tutta la pianta sia molto velenosa (e non esista antidoto al suo veleno) in dosi molto modeste è un ottimo diuretico ed ha anche proprietà antireumatiche e antigottose, seppur lasciamo l’uso farmaceutico strettamente riservato ai medici.

Colchico autunnale Colchicum autunnale L.

Lasciati alle spalle i casolari di Salva e abbandonata la strada sterrata ci si incammina verso la località Terzana.

Un gruppo di mucche incuriosite del nostro passaggio.


Il fragore del fiume fa da colonna sonora alla tavolozza di colori.


L’ampia radura di Terzana.


Attraversato i prati di Terzana (m1861) si rientra nel bosco e si fanno nuovi incontri.


L’ Amanita muscaria. Questo fungo è tanto bello quanto è velenoso.



Nel sottobosco adagiati su un manto rosso sono ancora presenti i deliziosi mirtilli neri...
Mirtillo - Vaccinium myrtillus
…e il mirtillo rosso
Mirtillo rosso – Vaccinium vitis


Nonostante la stagione inoltrata troviamo i lamponi ancora dal gradevolissimo sapore.
Lampone - Rubus idæus


Un morbido tappeto di muschi e licheni avvolge i tronchi delle piante quasi a volerle proteggere dal freddo che a breve si impadronirà della zona.


I resti di una pigna di cembro svuotata di pinoli dalla Nocciolaia.


Incontreremo la Nocciolaia spesso durante la nostra visita in questa valle. Questo uccello in modo particolare ha un ruolo importante per la vita del bosco in quanto ha l’abitudine di nascondere i semi in sovrappiù per poi cibarsene durante il periodo invernale. 

Questa pratica di immagazzinamento però fa anche sì che alcuni dei semi depositati possano germogliare poi in primavera propagando nuovi alberi. Questo vale specialmente per il Pino cembro.

Nocciolaia Nucifraga caryocatactes
Il sentiero prosegue con un alternarsi di prati, boschi e specchi d’acqua…


…sentiero sempre ben segnalato

…e curiosamente indicato.

Il paesaggio è arricchito da manufatti ben inseriti nell’ambiente circostante.




La Val Poschiavo (Grigioni Italiano) non è sempre stata parte dell’attuale Svizzera. Durante l’epoca romana apparteneva all’XI Regio. Dopo il periodo carolingio passò dapprima al vescovo di Como e poi ai Visconti di Milano. Dopo vari tentativi il vescovo di Coira riuscì a sottrarla al Ducato milanese. Nel 1408 la valle entrò a far parte della Lega Caddea. Da quel giorno il suo futuro fu principalmente legato alla storia grigionese e quindi svizzera. La lingua madre della valle è ufficialmente l’italiano, che però non corrisponde in toto alla nostra lingua ma al dialetto poschiavino o “pus’ciavin”, un idioma semplice che ricorda un passato contadino e rurale che è stato adattato alla cultura attuale della valle. L’italiano è quindi usato soltanto nei momenti ufficiali, nelle scuole, in forma scritta e solo in piccola parte in forma orale.


L’idioma “pus’ciavin”
Il Lago di Saoseo (m2030) ci appare circondato da monti i cui riflessi giocano con il turchese del colore del lago. La limpidezza delle acque fa intravvedere sul fondale un letto di tronchi di conifere.



Nascosto dagli alberi dal colore dorato, laciamo il lago Saoseo per incamminarci verso il Lago di Val Viola.

Lago di Val Viola (m2160) è situato in una  grande conca naturale dove, data l’altitudine, il bosco lascia spazio alle praterie alpine.




A questa quota l’autunno si presenta nei suoi colori…

…e con i suoi abitanti
Cincia alpestre - Poecile montanus

Picchio muratore – Sitta europaea

Cincia dal ciuffo - Lophophanes cristatus
Infreddolito un coleottero gode gli ultimi tepori di sole.
Galeruca tanaceti L

Un ciuffo giallo di fiori lascia un timido ultimo saluto d’estate lascia

Lasciamo ora il Lago della Val Viola e ci incamminiamo per il ritorno attraverso un comodo sentiero che presto ci condurrà al Rifugio Alpe Campo (m2065).


Le nubi si addensano sempre di più accompagnandoci fino a fondovalle

Lungo la strada del ritorno incrociamo il Rifugio Saoseo (m1987), quindi nuovamente i prati, le baite e le mandrie che costellano la parte più bassa della valle.




Gli sprazzi di sole lasciano il posto alle nubi, il paesaggio si incupisce, la giornata volge al termine…





…mentre osserviamo una cavalletta che sta giungendo al termine della sua stagione di vita.

La cupa sagoma di un abete chiude definitivamente la giornata in Val di Campo.

Anche la mia inseparabile compagna di viaggio è stanca ma soddisfatta della bella giornata trascorsa.



Una stima dei tempi di percorrenza:

Sfazù > Terzana h0.40 T > Lago di Saoseo h1.00 E > Lago Val Viola h0.30 E > Rifugio Alpe Campo h0.20 E > Rifugio Saoseo h0.20 T > Sfazù h1.00 T
I Rifugi, per chi non se la sentisse di percorrere integralmente il sentiero, nei mesi estivi, sono raggiungili da Sfazù utilizzando il servizio di trasporto pubblico Autopostali.