venerdì 31 maggio 2013

Il passero solitario

D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.


Il post odierno si apre con una strofa del “Passero solitario”, la celebre poesia di Giacomo Leopardi. Non voglio addentrarmi in un campo letterario che non mi compete, ma utilizzo queste frasi del grande autore per collegarmi a questo uccello che ho scovato nelle mie zone dopo anni di ricerca.


♂ Passero solitario
Il nome potrebbe trarre in inganno infatti il Passero solitario Monticola solitarius non ha proprio nulla in comune con i classici passeri che tutti noi conosciamo, infatti quest’uccello appartiene alla famiglia dei Turdidi, stessa famiglia del merlo.

♂ Passero solitario
Il passero solitario ha una lunghezza di circa 20 centimetri, snello ed elegante ha un dimorfismo sessuale molto evidente, infatti in primavera con l’avvicinarsi della stagione dell’accoppiamento, il corpo del maschio assume un colore blu cobalto ad eccezione delle ali che restano nere. La femmina invece è caratterizzata da una tonalità bruno-marrone più opaca.


♀ Passero solitario


Uccello schivo, passa spesso inosservato ma a tradire la sua presenza è il suo melodioso canto udibile in primavera.


L’areale di distribuzione è molto ampio: Italia, Balcani, Grecia, Turchia, India,Tibet e Indocina; quindi dall’estremo Oriente fino alla Mongolia, Cina e Giappone. 

Gli ambienti frequentati da questo uccello sono le aree costiere caratterizzate da falesie marine o coste rocciose, valli e pareti montane, cave di pietra e grandi edifici anche diroccati, come castelli, rovine e in ogni caso luoghi dai climi caldi e temperati.

In Italia meridionale lo si osserva anche presso luoghi abitati, decisamente molto localizzato nelle zone dei grandi laghi prealpini come il lago di Como dove ho scattato la foto di cui sopra, alcuni dati bibliografici mi portano a supporre che sia la località più a nord del suo areale italiano, ma ad oggi non ho riscontri scientifici a conferma di questo dato.


In azzurro l’areale di distribuzione del Passero solitario.


Immagine tratta dal volume: Naumann, Naturgeschichte der Vögel Mitteleuropas 
(Storia naturale degli uccelli dell'Europa centrale) del 1905. 



Il passero solitario ha ispirato molti poeti, come detto in precedenza Leopardi nel suo poema porta il Passero solitario a fama mondiale, per chi ne avesse voglia cliccando questo link può leggere integralmente la poesia e un’interessante analisi al poema.

Un’altra famosa poesia intitolata “Il passero solitario” fu scritta nel 1896 da Giovanni Pascoli.

Il passero solitario 

Tu nella torre avita, 
passero solitario, 
tenti la tua tastiera, 
come nel santuario 
monaca prigioniera 
l’organo, a fior di dita; 

che pallida, fugace, 
stupì tre note, chiuse 
nell’organo, tre sole, 
in un istante effuse, 
tre come tre parole 
ch’ella ha sepolte, in pace. 

Da un ermo santuario 
che sa di morto incenso 
nelle grandi arche vuote, 
di tra un silenzio immenso 
mandi le tue tre note, 
spirito solitario. 

Giovanni Pascoli

sabato 25 maggio 2013

Smergo maggiore: nidificazioni 2013



Nel post precedente dedicato allo smergo maggiore ci siamo lasciati con una promessa: “Tuttavia presto sul lago vedremo femmine con prole al seguito. Certamente non mancherò di riportare  immagini e commenti qualora ne avrò l’opportunità.”

L’opportunità si è presentata oggi durante il censimento delle nidificazioni di smergo maggiore effettuato sul Lario. Io e gli altri osservatori presenti abbiamo contato sei femmine con prole, ma molto probabilmente altre sono ancora in cova. Personalmente ne ho osservate due delle quali  vi propongo le seguenti immagini.
Femmina di smergo maggiore con pulcini di circa 4 giorni.



I piccoli di smergo maggiore nonostante siano nati da pochi giorni sono molto attivi come si può notare da questa immagine nella quale un pulcino è intento a catturare la sua preda.




 Nidiata con pulcini di circa 15-18 giorni.


Il risultati del censimento su tutto il lago di Como ha dato questo risultato:
femmine 44 
maschi 8 
covate 11 per un totale di 71 pulcini.

domenica 12 maggio 2013

C’è chi arriva e c’è chi parte!


Mentre alcuni uccelli stanno per raggiungere i nostri territori per riprodursi, altri hanno già concluso la loro fase biologica riproduttiva come, ad esempio, i maschi dello smergo maggiore che in questi giorni sul Lario si stanno raggruppando in piccoli stormi per poi partire per i laghi d’oltralpe dove inizieranno un nuovo ciclo annuale. Si tratta della muta post-riproduttiva che prevede la perdita simultanea delle remiganti e l’incapacità di volo per circa un mese.
Un gruppo di smerghi maggiori composto da soli maschi pronti per lasciare il Lario.

Smergo maggiore ♂adulto in abito riproduttivo,caratterizzato dal colore verde cupo e metallico della testa
e della parte alta del collo, dal dorso nerastro e dal candore delle parti inferiori e del resto del collo.
Mentre per i maschi di quest’anatra spetta un periodo di “riposo”, per le femmine questo è un momento molto impegnativo rappresentato dalla cova e dall’allevamento della prole.

Smergo maggiore  Mergus merganser



Come avevo già scritto in un precedente post dedicato a  questo uccello, lo smergo maggiore nidifica sul nostro lago. Utilizza come luogo di deposizione cavità di rocce dove vi depone da 4 a 13 uova, incubate dalla femmina per 30-32 gg.  La schiusa è sincrona per permettere a tutti i nuovi nati di abbandonare insieme il nido.




In questi giorni, mentre seguivo l’evolversi riproduttivo di questa specie, mi sono imbattuto in un interessante osservazione: una femmina si infila in un anfratto a più di 50/60 metri di altezza su una parete rocciosa dove ha nidificato (nella foto la piccola fenditura dove si è infilato lo smergo è cerchiata in rosso). Come fanno i pulcini quindi a raggiungere il lago? A tale proposito rimando a questo curioso video che vede come protagonisti alcuni rocciatori sulle pendici del Monte S. Martino di Lecco e dei pulcini di smergo. La natura ci insegna però che anni di evoluzionismo hanno selezionato abilità a noi impensabili!


Tuttavia presto sul lago vedremo femmine con prole al seguito. Certamente non mancherò di riportare  immagini e commenti qualora ne avrò l’opportunità.

Altre informazioni cliccare Lo smergo maggiore



domenica 5 maggio 2013

maggio = maggiolino

Oggi ho trovato tra le erbe un bel maggiolino. Nulla di strano, siamo a maggio; ma di questi tempi, vederne uno non è più così facile. Anche gli insetti, come tutti i gruppi di viventi, stanno infatti pagando un prezzo altissimo alla “modernità” che distrugge o avvelena un sempre maggior numero di ambienti naturali. 



Ma ritorniamo al maggiolino. Visto che di coleotteri non mi intendo ho invitato l’amico Giancarlo, che li raccoglie e li studia da molti anni, a darmi e a darvi qualche notizia al riguardo.



L’esemplare delle foto di Roberto è un maschio (lo si riconosce dai mazzetti di lamelle che formano le antenne, più grandi di quelli della femmina) del Maggiolino comune, scientificamente Melolontha melolontha. Per chi non lo avesse mai visto dal vero, è lungo fino a 3 cm.


La specie fu classificata nel 1758 da Linneo, il grande naturalista svedese che inventò il doppio nome latino di piante e animali, col nome di Scarabaeus melolontha; in seguito (intorno ai primi dell’800) il genere Scarabaeus, divenuto troppo vasto, venne suddiviso in molti altri, per ospitare i quali fu creata un’entità più ampia, chiamata famiglia. Al giorno d’oggi, l’intero ordine dei Coleotteri comprende circa 120 famiglie.  


[ Per inciso, la caratteristica più vistosa dei Coleotteri è di avere due paia di ali il primo dei quali, rigido, costituisce un astuccio di protezione che si chiude a proteggere il secondo paio, tenuto ripiegato quando l’animale non vola: ottimo esempio la Coccinella. Altre due caratteristiche principali sono la bocca fatta per masticare – e non per succhiare, come quella a tubo delle farfalle, o pungere, come nelle zanzare, o lambire, come nelle api – e le metamorfosi complete. Quest’ultima espressione significa che durante la sua vita l’insetto passa attraverso quattro stadi totalmente diversi: uovo, larva, pupa (l’equivalente della crisalide delle farfalle) e adulto. 

Dal punto di vista biologico, i Coleotteri sono un modello così riuscito da costituire il gruppo animale di gran lunga più numeroso del pianeta, con oltre 400.000 specie sinora descritte ma probabilmente almeno il doppio ancora da conoscere… sempre che arriviamo a scoprirle prima di farle estinguere. Visto che Roberto mi ha pregato di citare anche qualche curiosità o aneddoto, vi riporto una frase del grande – e spiritoso – biologo inglese Haldane, scomparso nel 1964. A un giornalista che intervistandolo gli chiedeva se i suoi studi gli avessero suggerito qualche possibile caratteristica di Dio, lo scienziato rispose: “i miei studi non mi permettono nemmeno di dirle se esiste o no. Ma una cosa le assicuro: se c’è, deve avere una smodata passione per i Coleotteri” ]. 


La famiglia cui appartiene il maggiolino, derivata dal suddetto genere Scarabaeus, ricevette a suo tempo il nome di Scarabaeidae. Era tra le più vaste dell’intero ordine dei Coleotteri ed essendo diventata anch’essa troppo estesa – le specie sinora classificate nel mondo sono più di 30.000 –  da qualche decennio è stata ‘promossa’ al rango di super-famiglia degli Scarabaeoidea (poco più di 350 le specie italiane), mentre quelle che un tempo erano le sue sottofamiglie sono state trasformate in altrettante famiglie, ciascuna comprendente un minor numero di componenti. 
Tra esse gli attuali Melolonthidae, un tempo sottofamiglia Melolonthinae, che nel nostro paese comprendono una novantina di specie, le cui misure variano da circa mezzo centimetro a 4 cm. Di queste ultime dimensioni è il grande, non comune e bellissimo Polifilla o Maggiolino marmoreggiato dei pini (nero o marrone rossiccio con ghirigori di scagliette bianche e, nel maschio, i mazzetti di lamelle delle antenne sviluppatissimi, a forma di eleganti ventagli ricurvi).
Il genere Melolontha da noi conta 4 specie, l’ultima delle quali, Melolontha sardiniensis, esclusiva della Sardegna come dice il nome, è stata scoperta e classificata solo nel 1999. Melolontha melolontha, diffusa in parte dell’Europa meridionale e in quella centro-orientale (da noi la si trova dal sud delle Alpi fino al Lazio), era un tempo comunissima, fino a costituire in certe annate un vero flagello.


Eccone il ciclo vitale. La femmina depone le uova nel terreno, dove la larva si nutre di radici (in particolare di piante erbacee), crescendo per tre anni prima di raggiungere le dimensioni necessarie alla trasformazione in adulto. A maggio quest’ultimo sbuca da sotto terra e a sera vola di albero in albero rodendo le foglie giovani, ma in mancanza di foglie attacca qualunque vegetale abbastanza tenero. La durata dello sviluppo della larva spiega perché l’insetto apparisse in gran numero ogni tre anni; qualche ritardatario aveva comunque dato luogo a generazioni che comparivano anche nel periodo intermedio, sia pure con un numero di individui molto minore.

Larve di Maggiolino - Melolontha melolontha L. (foto www.sekano.es)
www.agraria.org

I maggiolini abbondarono fino all’epoca della mia adolescenza, intorno agli anni ’60: il padre di un mio amico lecchese gli raccontava come in altri tempi si ricompensassero con piccole mance i bambini incaricati di raccoglierli, che ne riempivano borse intere. Nei secoli passati si ricordano addirittura vere carestie causate da questi scarabei, come per esempio nel ’600 in una contea irlandese, dove la popolazione fu costretta a sopravvivere mangiandoli, dato che avevano finito col fare piazza pulita di ogni pianta commestibile sia coltivata sia spontanea.

In casi particolarmente gravi, i maggiolini – come bruchi o altri insetti dannosi – nel Medioevo venivano portati in tribunale, dove erano processati per i danni arrecati alla campagna. Si ha notizia di un processo avvenuto in Svizzera in cui i coleotteri, nonostante la difesa di un brillante avvocato, furono condannati a lasciare immediatamente il territorio pena la scomunica. Ovviamente rimasero dov’erano, continuando a fare i loro guasti; e il fatto che li facessero da scomunicati non dovette costituire per i contadini una gran consolazione.

Il nome comune italiano dell'insetto è particolarmente appropriato, in quanto di regola gli esemplari più precoci non compaiono prima della fine di aprile e pochi ne restano in circolazione dopo gli inizi di giugno. Di origine e forma chiaramente toscane, “maggiolino” non solo ha buona diffusione in tutte le regioni del nostro paese in cui la specie è presente, ma a quanto pare è ben radicato nella lingua parlata: prova ne sia il fatto che è sopravvissuto alla scomparsa dello scarabeo cui si riferiva in origine.

Oggi infatti vengono spesso chiamati maggiolini certi parenti relativamente stretti della Melolontha melolontha ma notevolmente più piccoli, appartenenti, per chi volesse saperne di più, ai generi Rhizotrogus e Amphimallon. Oltre che nella classificazione, l'inesattezza è prima di tutto nell'indicazione di tempo, dato che questi post-maggiolini, almeno nel nord della penisola, volano nelle belle serate di giugno inoltrato o addirittura in luglio; varie specie dell’Italia centrale e meridionale circolano fino a settembre e ottobre. Superfluo dire che l’estrema rarefazione del “vero” maggiolino è effetto dell’inquinamento, dei diserbanti e degli insetticidi; di questi ultimi, secondo dati di qualche anno fa, nella sola Italia si è impiegato nel 2008 un terzo del quantitativo usato nell’intera Europa.    
    
Per quanto riguarda i nomi dialettali dell’insetto, mi limito a citare quello che ho sentito usare più spesso a Lecco, dove sono nato: panigaröla. Riguardo al suo significato e alle sue origini, tutto quello che posso offrirvi è una mia ipotesi; vi prego dunque di accettarla, come si dice, con beneficio d'inventario.

Panigàda si chiama dalle nostre parti l'infiorescenza del sambuco, che incomincia a sbocciare verso la fine di aprile ed è visitata da varie specie di Coleotteri Scarabeoidei amanti delle sostanze zuccherine, tra cui in particolare la ben nota Cetonia, dal bel colore verde metallico, lunga fino a un paio di centimetri o poco più. Se ne fosse attirato anche il maggiolino, saremmo a cavallo: la qualifica di panigaröla sarebbe giustificata dal fatto che lo si trova sulla panigàda. Ma le Melolontha non frequentano affatto i fiori, essendo, come già detto, specifiche divoratrici di foglie.

Panigaröla si applica però anche alla Cetonia, facendomi sorgere il dubbio che in origine la vera titolare del nome potesse essere lei, ai sambuchi fioriti particolarmente affezionata: il significato del vocabolo, con la solita imprecisione della lingua popolare nei confronti degli insetti, si sarebbe poi allargato a designare anche (e soprattutto) il suo cugino dannoso, oggetto di conversazione ben più frequente e importante per coloro che vivevano del lavoro dei campi. 

E visto che ci siamo occupati di etimologia, da dove viene il nome scientifico di Melolontha creato da Linneo?
Va detto innanzitutto che il naturalista, come tutte le persone colte del suo tempo, aveva studiato il greco e il latino; e nei classici greci era andato a cercare i nomi di molti animali, nomi che poi, in forma latinizzata, attribuiva alle specie che classificava.

In un verso della commedia Le nubi, Aristofane – il più grande poeta satirico dell’antica Grecia, nato intorno alla metà del V secolo a. C. – paragona la fantasia “alla melolónthe che il fanciullo fa volare attaccata a un filo”. Sappiamo solo che la parola indicava un Coleottero, ma ignoriamo quale; e dato che (se ben ricordo) il maggiolino non è presente in Grecia, o perlomeno non vi è comune, gli studiosi ritengono che il termine melolónthe indicasse invece la Cetonia.

Il maggiolino è però presente nel sud della Svezia, dove viene chiamato Ollonborre. Evidentemente, i bambini svedesi (e forse da piccolo lo stesso Linneo) lo facevano volare attaccato a un filo, come anch’io ho visto fare negli anni ’50 al paese dei miei nonni materni, nelle campagne del Piemonte; lo studioso deve aver creduto che melolónthe significasse maggiolino e così ha attribuito a quest’ultimo il nome latinizzato di Scarabaeus melolontha.

Concludo con un’altra curiosità riguardante i dialetti. Un appassionato e minuzioso raccoglitore di memorie torinesi, Alberto Viriglio, ai primi del ’900 riporta nel suo libro Vecchio Piemonte una formula in rima che a Torino e dintorni i bambini dei tempi in cui lo era lui, nato nel 1851, rivolgevano al maggiolino (chiamato in dialetto gìvu) praticando proprio quel gioco. Dopo aver legato l’insetto per una zampa gli si intimava: Givu givòla, marcia a scola!, maggiolino maggiolinetto – ma la finale “òla” è tipicamente canzonatoria – fila a scuola!  

In caso di rifiuto bastava lanciare il coleottero in aria, in modo che nel sentirsi ricadere aprisse le ali e prendesse il volo. Ma la sua apparente libertà non durava a lungo. Dopo averlo lasciato ronzare per un po' seguendolo come fosse un cane al guinzaglio, il suo carceriere lo tirava indietro con un brusco strappo, impartendogli il contrordine: La scola l’é sarà, turna a cà! La scuola è chiusa, torna a casa!

Sia pure senza l’accompagnamento della cantilena, dicevo poco fa che quel gioco ho fatto in tempo a vederlo praticare anch’io. Ma il mondo cui apparteneva è ormai lontano quanto Viriglio o Linneo o lo stesso Aristofane: perduto per sempre.
 Giancarlo Colombo.