venerdì 21 dicembre 2018

Il Tasso, un albero natalizio di altri tempi.

Il solstizio d’inverno quest’anno cade il giorno 21 dicembre alle ore 22:22. Nelle case e nelle piazze vi è un scintillante brillare di luci ed addobbi sugli “alberi di Natale”.

L'abitudine di decorare alberi sempreverdi era diffusa gi1_Milano_010à tra i Celti durante le celebrazioni relative al solstizio d'inverno. Con l'avvento del cristianesimo, l'uso dell'albero di Natale si affermò anche nelle tradizioni cristiane anche se la chiesa un tempo ne vietò l'uso sostituendolo con l’agrifoglio che simboleggia con le spine la corona di Cristo e con le bacche le gocce di sangue che escono dal capo. La tradizione dell’albero di Natale rimase tipica delle regioni protestanti della Germania. Solo nei primi decenni del XIX secolo si diffuse nei paesi cattolici. Ai giorni nostri la tradizione dell’albero di Natale è universalmente accettata anche nel mondo cattolico tanto che lo stesso Papa Giovanni Paolo II lo introdusse nel suo pontificato facendo allestire, accanto al presepe, un grande albero di Natale proprio in piazza San Pietro. Di conseguenza anche i cattolicissimi abitanti lariani, pur non avendo nella loro cultura popolare l’uso dell’albero di Natale, adottarono con immediato successo questo simbolo.

Milano, piazza Duomo, un tradizionale e grande albero di Natale.

2_Agrifoglio_Varenna_005Un Agrifoglio (Ilex aquifolium), altra tipica pianta natalizia.


Da qui nacque il dilemma: quale tipologia di pianta si può usare per sostituire il classico Abete rosso non facilmente recuperabile nei nostri territori? La scelta cadde sulle piante autoctone come l’Alloro (Laurus nobilis) e il Tasso (Taxus baccata).

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Un giovane esemplare di Tasso (Taxus baccata).

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Durante la stagione invernale quando le altre piante hanno perso le foglie è il Tasso a dare colore al bosco.



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L’etimologia del nome del genere Taxus è controversa: alcuni la fanno derivare dal greco antico TóξovToxon=velenoso, altri affermano che il riferimento venga dal greco “taxis”, ovvero fila, per la disposizione regolare delle foglie sui rami a forma di doppio pettine.
Il nome della specie deriva da una parola latina “baccatus=a forma di bacca” per via della presenza del falso frutto rosso (arillo) simile ad una vera bacca.

Il Tasso ha un tronco eretto tozzo e ramificato sin dalla base.


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Ramo di Tasso con le foglie disposte regolarmente a “pettine” visto dal lato superiore ed inferiore.

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Il rosso “arillo” del Tasso è simile ad una bacca.




Il Tasso è una pianta sempreverde dell’ordine delle conifere presente da 200 a 1.600 m s.l.m.. La sua distribuzione va dalla Penisola Iberica fino alla Gran Bretagna e alla Scandinavia meridionale, a est fino al Mar Nero, Caucaso e Asia Minore. In Italia questa pianta è presente su tutto il territorio. Il Tasso comune predilige terreni calcarei. In tempi antichi era una specie diffusissima ma oggi, dato lo sfruttamento da parte dell’uomo, il suo areale si è ristretto notevolmente. Essendo principalmente una pianta da zona ombrosa, la si riscontra in alcune vallate lecchesi esposte a nord, mista ad altre piante decidue.

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Areale di distribuzione del Tasso (Taxus baccata), in verde è indicata l’area naturale,
in arancio quella introdotta dall’uomo ed in seguito diffusasi spontaneamente.
Immagine di dominio pubblico: autore Giovanni Caudullo – wikimedia.org


Questa pianta può raggiungere un’altezza di 20 metri ed un’età molto longeva (basti pensare che in Scozia a Fortingall esiste un Tasso dalla più grande circonferenza del tronco registrata in Gran Bretagna). Gli stu6_Fortingall-Yew-trunkdiosi stimano che abbia tra i 2.000 e 3.000 anni.


Immagine del Tasso di Fortingall, la dimensione originale del tronco è segnata dai pali di legno.
Immagine di dominio pubblico: autore Mogens Engelund – wikimedia.org



Il Tasso è una pianta dioica, cioè con gli organi riproduttivi maschili e femminili portati su due piante distinte. Gli strobili femminili, isolati alla base delle foglie, sono costituiti da un unico ovulo, il seme, duro (non c’è frutto in questa specie), è circondato da un involucro carnoso, chiamato arillo, di colore rosso e molto gradito dagli uccelli i quali mangiandolo, ne consentono la disseminazione.

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Le strutture riproduttive maschili sono piccoli elementi tondeggianti situati nella parte inferiore dei rametti.


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Il frutto denominato Arillo è la parte esterna al seme
che si presenta carnosa e di un colore rosso vivace.
È l’unica parte della pianta a non essere velenosa.

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Il Tasso ha bisogno degli uccelli, i quali cibandosi del suo frutto ne favoriscono la disseminazione.
I semi non prelevati cadono ai piedi della pianta e hanno pochissime probabilità di nascere e crescere.

Pianta che annovera una moltitudine di leggende e simbolismi. Essa viene riconosciuta come simbolo di immortalità e di saggezza, grazie alla sua straordinaria longevità (il tasso infatti è la specie europea più longeva). Presso le popolazioni pre-romaniche il tasso simboleggiava la morte intesa come momento di passaggio verso una nuova vita. Per i primi popoli germanici rappresentava l'albero della rinascita, mentre per i celti il tasso era uno dei 5 alberi magici: con il suo legno si costruiva11_Bolzano_121 il bastone dei druidi e nel sudario dei defunti si mettevano dei ramoscelli per proteggere l'anima del defunto nel suo viaggio verso l'aldilà. I Greci lo consideravano una porta di accesso verso gli inferi. Tra le varie piante dedicate ad Ècate, dea degli inferi, troviamo il Tasso, albero velenoso per eccellenza. Nel mondo delle leggende, ricordo quella per cui la freccia che uccise Re Riccardo Cuor di Leone fosse costruita con il legno di questa pianta. Questa leggenda potrebbe essere verosimile poiché il legno di tasso, essendo resistente e flessibile, venne fino dai tempi remoti prescelto per la fabbricazione di archi, frecce e lance. Di legno di Tasso è il grande arco di Ötzi, l'uomo del Similaun (3.330 a.C. circa).


Bolzano, ricostruzione di un essere umano di sesso maschile chiamato Ötzi, l'uomo del Similaun, risalente a un'epoca compresa tra il 3300 e il 3100 a.C. Questo uomo aveva con sé un arco in legno di Tasso.


Per queste sue caratteristiche “belliche”, tra il Xlll ed il XVI secolo, la richiesta di legname per fabbricare armi fu talmente elevata da far sì che questa pianta venisse decimata dapprima nei boschi inglesi e poi in quelli spagnoli e nei territori dell’Europa settentrionale. La popolazione europea del Tasso non si è mai più ripresa da quei tempi.

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Oggi piante di Tasso di una certa dimensione le si ritrovano presso parchi e giardini, allo stato naturale è difficile trovarne così grandi. La lenta crescita e le sue peculiarità lo hanno reso un legno pregiato perciò molto sfruttato dall’uomo. Il suo utilizzo, oltre che per archi e balestre, era usato anche per la produzione di mobili, intagli e molti altri utensili per la casa. Oggi la maggior parte di questo legname viene impiegata per la realizzazione di impiallacciature.

12_Taxus-baccata_Mandello_010Piante di Tasso presso un giardino pubblico
a Mandello del Lario (LC).

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Altra proprietà indiscussa del legno di questa pianta è l'incredibile durata nel tempo. Il manufatto umano più antico di legno è in Tasso; si tratta di una lancia pressoché intatta, rivenuta a Clacton in UK e datata 420.000 anni fa.20_Clacton_Spear_02



Questa punta di lancia è in legno di Tasso ed è l’oggetto in legno più antico conservato al mondo datato circa 420.000 anni fa. Museo Nazionale di Storia. Londra.

Immagine di dominio pubblico: – wikimedia.org




In gergo volgare, il Tasso comune è chiamato anche “Albero della morte”, conosciuto per la sua tossicità fin dal IV secolo a.C.. Il filosofo e botanico Teofrasto racconta come le foglie di questa pianta siano estremamente velenose. Oggi sappiamo che le proprietà tossiche sono dovute ad un alcaloide chiamato Tassina, presente in tutti gli organi della pianta, ad eccezione della parte carnosa del frutto. Questa sostanza è in grado di uccidere, in dosi elevate, anche l'uomo.

Terminata l’epoca leggendaria e bellica, l’uomo ha ancora interesse per il Tasso? Sembrerebbe proprio di sì! Recentemente alcuni ricercatori hanno scoperto, in concentrazioni elevate, la presenza di taxolo nella corteccia e nelle foglie del Tasso del Pacifico (Taxus brevifolia). Pare che questa sostanza sia capace di bloccare il proliferare delle cellule tumorali in alcune forme di cancro (una frontiera tutta da scoprire). Chissà se mai un giorno il nostro Albero della Morte non divenga per alcuni una speranza di vita!

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Una cascata di rami che pare un Salice piangente.
Quante sorprese si scoprono in natura!
Sitografia

http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=14508

http://www.treccani.it/vocabolario/tasso3/

http://www.amicidilazzaro.it/index.php/il-significato-cristiano-dellalbero-di-natale/

http://www.treccani.it/enciclopedia/teofrasto-di-ereso/

https://nelboscodelladea.com/2015/10/01/ecate-il-volto-oscuro-della-luna/

https://it.wikipedia.org/wiki/Albero_di_Natale

http://www.ansa.it/web/notizie/canali/energiaeambiente/natura/2015/11/02/in-scozia-un-albero-millenario-sta-cambiando-sesso_cf2a20f3-6a5a-46a9-b6c9-31385a729ce8.html

http://www.bolzanoinfo.it/oetzi.htm

https://en.wikipedia.org/wiki/Clacton_Spear

http://www.promolegno.com/legno/specielegnose/tasso/


domenica 25 novembre 2018

Gli argentei ulivi del Lario

Nelle ultime settimane del mese di ottobre, si è visto un gran movimento di persone attrezzate di scale, ceste e reti tra i terrazzamenti delle sponde lariane. Tutti indaffarati per l’abbacchiatura delle olive. Chi ha provveduto a questa raccolta prima dell’arrivo del maltempo che ha caratterizzato la fine del mese di ottobre e il mese di novembre, ricorderà questo anno come uno dei più produttivi sia in termini di quantitativo raccolto sia di resa percentuale di olio. Per questo motivo mi sembra doveroso approfondire questo argomento, non tanto in termini agronomici ma piuttosto storici, in quanto la coltivazione di questa pianta ha lasciato un segno importante nel territorio lariano.

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Varenna, la raccolta delle olive.


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Biosio (Bellano), olive in attesa della molinatura

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L'Olivo o ulivo (Olea europaea) è una pianta originaria dell’Asia Minore e della Siria dove è comunissima allo stato selvatico. La sistematica la posiziona nella Famiglia delle Oleaceae e al Genere Olea. Le varietà coltivate per la produzione di olio si presume siano selezioni ottenute dall’olivo selvatico spontaneo che produce dei piccoli frutti da cui si ottiene un olio amaro.



Ulivi a Somana (Mandello del Lario).



L’olivo, conosciuto sin dall’antichità come pianta coltivata nel Medio Oriente, in seguito si diffuse nel bacino del Mediterraneo. In Palestina e in Siria sono stati fatti ritrovamenti che attestano la produzione di olio intorno al 5000 a.C.

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Areale dell’Ulivo nelle varie sottospecie, con il simbolo▲ si identifica dove è stato introdotto e naturalizzato.
Immagine di dominio pubblico - Autore Giovanni Caudullo [CC BY 4.0], via Wikimedia Commons.

Intorno al 2300 a.C. gli Egizi già commerciavano l’olio, che aveva però anche un valore spirituale simbolico nei riti funerari.

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Furono i Greci a sviluppare maggiormente la coltivazione di questa pianta, coltivando diverse varietà di olivo a cui diedero il nome speciale di ἐλαία (elàia) che i Latini tradussero in olea. Ancora oggi usiamo olea nel nome scientifico.


Raccolta delle olive; lato B di un'anfora a collo distinto in ceramica
a figure nere del Pittore di Antimene, c. 520 AC
Immagine di pubblico dominio -
British Museum: database online:
399909.  - via Wikimedia Commons.

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I Romani identificarono diverse tipologie di olio:

Oleum ex albis ulivis = olio di olive chiare, pallide (letteralmente ‘bianche’). Olio di altissimo pregio ottenuto da olive ancora acerbe.



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Oleum viride = olio verde, ricavato da olive quasi mature (invaiate), anch'esso di alta qualità. 




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Oleum maturum = olio matur, ottenuto da olive nere e già mature, di qualità considerevolmente inferiore.




Oleum caducum = olio caduco (estratto da frutti caduti), di qualità mediocre, estratto da olive raccolte da terra.

Oleum cibarium =  grossolano, casalingo, ordinario, comune. Olio di pessima qualità ottenuto da olive aggredite da parassiti e destinato in parte all'alimentazione degli schiavi e in parte ad altri impieghi non alimentari.

L’Olea europaea è una delle specie arboree più antiche e diffuse del bacino mediterraneo. E’ una pianta che predilige ambienti e climi secchi ed è sensibile alle basse temperature.
Il clima ottimale è proprio quello tipico mediterraneo caratterizzato da estati calde ed asciutte ed inverni poco freddi e piovosi. Si diffonde come pianta coltivata dal livello del mare sino a 900 m s.l.m..

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La coltivazione dell’ulivo ha modificato il territorio lungo le pendici con la formazione dei tipici terrazzamenti.

Sulle sponde del lago di Como la coltivazione dell'olivo comparve molto probabilmente grazie a popolazioni liguri ed etrusche ma la sua espansione fu data dai Romani, la cui presenza a Como risale al 196 a.C.. Nel 59 a.C., Giulio Cesare fondò la “Como Nuova" (Novum Comum). Fu in questo periodo che sul Lario si diffuse l'olivo, grazie alla presenza stanziale di circa 5.000 coloni, dei quali 500 Greci di Sicilia, esperti nel commercio, nella navigazione e nella coltivazione della vite e dell'olivo e grazie alla mitezza climatica esercitata dal lago.15-Museo Como_(Large)

Inoltre, tra il III sec. a. C. e il III sec. d. C., vi fu un periodo di generalizzato innalzamento delle temperature, ulteriore motivo della diffusione dell’olivo.



Esempio di anfore utilizzate
per contenere sia olio che vino.
Museo Archeologico Paolo Giovio di Como.






L’olio lariano, insieme ad altre merci pregiate, spesso veniva più facilmente trasportato via lago, raggiungendo l'antica Summo laco (attuale Samolaco in Val Chiavenna). Da qui veniva poi trasportato via terra attraversando passi alpini come ad esempio il Maloja e lo Julier.

16-bDisegno di un’anfora troncoconica a fondo piatto, di produzione istriana, con iscrizione dipinta . Quest’oggetto era destinato a contenere olive nere extradolci di prima qualità. Il metodo di conservazione antico per le olive prevedeva oltre alla salamoia l'uso del miele, formando così una specie di mostarda. Sia l’olio sia le olive in salamoia erano molto richieste nelle zone d’oltralpe dove, per ovvi motivi climatici, non si poteva coltivava l'ulivo.

Questa anfora, datata I  sec. d.C., fu ritrovata in località Pratogiano di Chiavenna nel 1815 e da allora è conservata nel Museo Archeologico di Milano. Questo reperto è ora esposto presso il Museo Archeologico della Valchiavenna a Chiavenna.

Traduzione dell'iscrizione dipinta: Oliva / nera / extradolce / eccellente mezzo sestario. (Il sestario è un'antica misura romana di capacità pari alla sesta parte del congio, cioè a circa mezzo litro).

(Testo e disegno tratti da “Temi e testimonianze - Chiavenna, un crocevia di traffici e di commerci. Museo Archeologico di Chiavenna).


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Una vecchia immagine scattata sul Lario nei primi decenni del secolo passato, ritrae un “ Cumbàl” (Comballo) carico di materiali. Questa imbarcazione in uso fino alla metà del ‘900 ha forme molto arcaiche, alcuni studiosi la fanno risalire all’epoca dei coloni romani a Como.



L’olio non era solo utile come alimento ma anche un’importante fonte energetica. Il più antico impiego dell’olio d’oliva fu come fonte di luce per l’alimentazione di lampade e lanterne per uso comune ma anche per alimentare i lumi votivi religiosi. Altro utilizzo dell’olio sin dai tempi antichi è quello cosmetico e medicinale. Le sue proprietà curative sono ancora oggi utilizzate come base per preparati farmaceutici.

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Caduto l’impero romano sul Lario si continuò la tradizione dell’olivicoltura. Troviamo testimonianza di questa attività in vari testi di autori del passato.
Flavio Magno Aurelio Cassiodoro (490-583 d.C.), politico e letterato di stirpe romana, ministro di Teodorico ci ha lasciato questa descrizione;

CASSIODORO: [cuius (scil. Larii Lacus) ora (…) quasi quodam cingulo Palladis silvae perpetuis viriditatibus ambiuntur; super hunc (lacum) frondosae vineae latus montis ascendunt].

“…la cui riviera (del Lario) è circondata dai boschi sempreverdi di Atena (cioè di olivo, l’albero sacro alla dea) quasi come da una cintura; sopra questo (lago) rigogliosi vigneti si arrampicano lungo il fianco del monte”.


In questa immagine dei primi anni del ‘900 un ulivo
domina la scena, in secondo piano si scorge Varenna.

19-Varenna_003L’olio lariano fu apprezzato anche dai nordici Longobardi. La narrazione popolare racconta che la regina Teodolinda ne facesse uso e i fatti storici citano una legge promulgata dal re Rotari nella quale impose una multa di tre soldi d'oro a chi avesse reciso i rami ad un'altrui pianta d'olivo.
Io scrittore longobardo Paolo Diacono (720-799 d.C.) lasciò questa testimonianza:

Versus in laude Larii lacus, 9ss.; [cinctus oliviferis utroque es margine silvis;/numquam fronde cares] .

“Versi in lode del Lario, 9 e seguenti: “sei cinto su entrambe le sponde da boschi di ulivi; non manchi mai di fronde.

La regina Teodolinda è diventata un personaggio leggendario, associato a molti luoghi e racconti: a Varenna è raffigurata in un affresco del XIV secolo nella chiesa di San Giorgio. 


In periodo medievale e in alcuni casi fino all'inizio del XIV secolo, si ha testimonianza di alcuni monasteri d'oltralpe che vantavano possedimenti sul lago di Como. Questi monasteri nordici tenevano molto ai beni situati sul versante meridionale delle Alpi, specialmente sui laghi. Il motivo principale era per il bisogno di procurarsi il vino, le castagne e soprattutto l'olio per il convento.

Sempre nel medioevo vi sono vari riferimenti alla coltivazione dell'oliv20-1987_Olivo-A_016_1-1986o sul Lario, riportati tra l'altro in rogiti notarili o altri documenti. E' in questo periodo che nacquero la maggior parte dei toponimi, che si aggiunsero a quelli dell'epoca romana, giunti fino ai giorni nostri. Troviamo sul Lario:

· la “Zoca de l'oli” (letteralmente la conca dell'olio, zona ubicata nella sponda occidentale del lago di Como tra l'Isola Comacina e i territori facenti parte ai comuni di Sala Comacina e di Tremezzina)

· località Oliva, Olivedo, Oliverio, Olivetto, Prato Olivino, Monte Oliveto, la frazione Olcio di Mandello del Lario, il cui territorio veniva chiamato Olcium olei ferax, un’Abbazia (Acquafredda a Lenno) la cui chiesa è dedicata a Maria Santissima con il titolo di Madonna dell'Oliveto.

In provincia di Lecco dal 1927, dall’unione di tre località : Onno – Vassena – Limonta si è costituito il comune con il nome di Oliveto Lario.

Uliveto alla la “Zoca de l'oli”,
sullo sfondo si scorge l’isola Comacina.

Nei secoli in cui l'olivo ebbe maggior sviluppo al nord non vide tanto un aumento nel consumo di olio come alimento quanto nel suo commercio. A partire dal secolo XII, con il declino dei grandi monasteri, questo fatto contribuì allo spostamento della coltivazione verso i piccoli e medi proprietari terrieri. Nei due secoli successivi si verificò di conseguenza un forte sviluppo dell'olivicoltura, imposto anche tramite editti ed ordinanze che obbligavano gli agricoltori a piantare olivi.

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Un uliveto a Olcio, che veniva chiamata Olcium olei ferax = feconda d'olio.

La diffusione dell'olivo sul Lario e in tutto l’estremo areale nord di questa pianta è stata molto influenzata dalle vicende climatiche. Sul finire del periodo medievale, in particolare dalla metà del '500 e per circa tre secoli, si ebbe un periodo climaticamente avverso, quello che è stato chiamato “Piccola Era Glaciale", durante il quale un calo delle temperature medie fece abbassare anche sul Lario il limite altimetrico delle colture riducendo quindi anche le zone di coltivazione dell'olivo. Le cronache riportano che nel corso dell'inverno del 1709 vi fu una grande gelata, evento che si ripeté anche nel 1789 provocando ingenti danni alle coltivazioni di olivo. Probabilmente, sia a seguito di questi andamenti climatici avversi, sia per motivi d14-Oliveto_Mezzastrada_003i ordine storico ed economico, verso la fine del Settecento, l'olivo fu in molte zone soppiantato dalla coltivazione della vite nonché del gelso per l'alimentazione del baco da seta, allevato in diversi villaggi lariani per la produzione della famosa seta comasca.

Suggestiva immagine di un uliveto coperto dalla coltre nevosa. Questa pianta teme le temperature rigide. Il clima mite lariano  permette la sua coltivazione che, di conseguenza, è quella più a nord d’Europa.


La decadenza dell’olivicoltura lariana fu motivo d’interesse anche del governo austriaco il quale dispose un'indagine per promuovere la coltivazione dello stesso in Lombardia (1774): “La Lombardia nostra raccoglie certamente mille anni fa molto più olio d'ulive, che non ora fa".

L'olio d'oliva, prodotto dell’Europa meridionale molto apprezzato a nord delle Alpi, aveva dei costi molto alti a quel tempo, tuttavia la sua qualità lasciava spesso a desiderare. Sulle "Osservazioni sull'arte agraria" fatte da padre Eraclio Landi troviamo: se una minima parte era “buonissimo e perfettissimo” molto era “per il più cattivo, mal fatto, acuto e di brutto colore” tale da far sì che vi fosse “una strana prevenzione che l’olio di queste province non possa farsi d'ottima qualità”.

Landi non si limitò ad osservare ma si espresse in modo critico circa le tecniche di raccolta “far cadere e bacare", di conservazione delle olive: “l'olio non sarà buono se le ulive stanno molto per terra”(...)” e ammontate cosi fuori di regola fermentano” e di molitura delle stesse sia con la frangia “rompere le ulive e i noccioli sotto alla mola, indi porre in un sacco entro l’acqua calda la pasta, e premendola coi piedi, farne uscire il prim'olio. Poscia la mettesi la pasta stessa a bollire, rimestandola frattanto sinché un secondo olio se ne cava; e quindi un terzo nuovamente cavandola” sia con il torchio, anche in questo caso con utilizzo di acqua calda, cercando di aumentare le rese, che dava comunque come esito un olio con "odore di rancidezza”.
Eraclio Landi propose il modello toscano per la produzione di olio in tutte le fasi.

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1984, Ossuccio (Tremezzina): sono gli ultimi anni di funzionamento di questo vecchio frantoio. Oggi gli standard qualitativi richiedono attrezzature più idonee e metodologie di alta qualità.

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Sacchi di iuta contenenti olive pronte per la molitura. Oggi un tale stoccaggio non è più accettabile in quanto le olive così accatastate si deteriorano velocemente influendo sulla qualità dell’olio.



Il problema sulla qualità dell’olio lariano compare anche a firma di Giovanni Battista Giovio (1748-1814) nella sua opera “Como e il Lario, che così scrive: "D'olio, che saria in vero la derrata grande, non se ne fa tutta quella vendita, che ben potrebbesi, se maggiore si ponesse negli ulivi la cura"


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2018, Biosio (Bellano): il moderno frantoio oleario dove le olive lariane sono trasformate in olio di qualità “OLIO D.O.P. Laghi Lombardi”.


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Olive in attesa della molitura, per mantenere una buona qualità dell’olio sono conservate in ceste areate e dalla raccolta alla spremitura non devono passare troppe ore.

Nel XIX secolo (ma se ne parla dal 1840) il “verme o mosca dell'olivo" (Bactrocera oleae Gmelin) cominciò ad apparire e a generare gravi danni non solo in terra lariana ma anche in tutt’Italia. Tuttavia non sembra che questo sia stato il principale motivo di sostituzione sul Lario dell'olivo con specie allora più redditizie, quali il gelso e la vite.

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Olive con fori di sfarfallamento della mosca dell'olivo" (Bactrocera oleae Gmelin).

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Maschio di Bactrocera oleae
Immagine di pubblico dominio - Autore Alvesgaspar, via
wikipedia.org

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Larva di mosca dell’olivo.


I danni causati da questo insetto sono di due tipi: quantitativo e qualitativo. Sotto l'aspetto quantitativo il danno è causato nella sottrazione di una parte considerevole della polpa dell’oliva con conseguente riduzione della resa in olio.
Una parte della produzione si perde anche a causa della cascola precoce dei frutti attaccati dalla mosca.
Sotto l'aspetto qualitativo vi è la diminuzione della qualità dell'olio estratto da olive aggredite, in quanto si manifesta un aumento dell’acidità. Inoltre questi attacchi di mosca provocano insediamenti di muffe attraverso i fori di sfarfallamento.

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Trappola per il monitoraggio della popolazione di mosche dell’olivo adulte allo scopo di stimare la soglia di intervento. Le trappole sono in materiale plastico cosparse di vischio entomologico.





Questa diffusione dell’olivicoltura sul Lario si restrinse alle aree più riparate e idonee e la ritroviamo soprattutto nel centro e basso lago. Cesare Cantù nella sua "Lombardia pittoresca" del 1838 parla così di Varenna: L' ulivo colle bianche lucenti sue foglie, l’accenna da lontano”.

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Ulivi a Varenna.

67-2018-11-23_Ulivo_Varenna_006Verso la fine del 1800 Balbiani così descrisse il territorio delle tre pievi (l’alto Lario occidentale) ed in particolare il villaggio di Gravedona: I gioghi retici, facendo scherno al nudo settentrione, mostrano da questa parte i loro dorsi aprici e vestiti di una succosa verdezza costante. Quando altrove le foglie sono gialle e cascaticcie, qui rigogliose lussureggiano. (...) Alle falde, il monte è ingentilito d'alberi fruttiferi, d'ulivi (...). Crescendo in altezza alquanto s'inaspra, ma se tra sasso e sasso resta una striscia di terreno adatto alla coltura, non si lascia ozioso l'industre agricoltore, che vi educa un fico, un gelso, un ulivo ( . . .). Sebbene il lago non offra nella sua estensione che poca pianura, molte colline e grandi montagne, pure è feracissimo di derrate di cereali, di vini, di olivi, di noci di castagne, di limoni, di cedrini (. . . ). Il territorio di Gravedona è coltivato a prati nella pianura, ed a vigneti e gelsi nella parte montuosa. Vi crescono pure rigogliosi gli olivi e gli agrumi.


L’ulivo è una pianta molto longeva, in climi 70idonei può superare comodamente i mille anni. Ad esempio a San Baltolu di Luras (SS) è presente un ulivo per il quale l’Università di Sassari ha stimato un’età compresa tra i 2500 e i 4000 anni. Ha misure di tutto rispetto con i suoi 14 metri di altezza e la circonferenza del tronco è di 12 metri e quella della chioma è di 23 metri. Dichiarato nel 1991 Monumento Naturale fa parte dei 20 alberi secolari italiani.

Immagine tratta dal blog - www.ulivita.it


La situazione odierna vede l’olivicoltura in forte espansione: sono stimati 55 mila ulivi nelle province di Como e Lecco che producono l'olio D.O.P. più settentrionale d'Europa. Si tratta di coltivazioni a scopo sia professionale che hobbistico. Oggi la qualità dell’olio lariano ha raggiunto notevoli standard qualitativi ed è stato più volte premiato come il miglior olio.

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I fiori dell’olivo.

Un detto locale recita: “i fiuur sull’uliva, l’agón in de la riva”, quando fiorisce l’olivo, l’agone (pesce) giunge alle rive del lago per riprodursi. Potremmo interpretare: è il momento di sospendere le attività agricole per dedicarsi a un’altra importante fonte di sostentamento, la pesca dell’agone. Dell’argomento ho parlato sul post che trovate a questo LINK.


Concludiamo questa sintetica panoramica storica legata all’olivo ricordando quanto sia stretto il legame tra l'olivo e il cristianesimo. La sua presenza nelle Sacre Scritture è ricorrente tale da esserne uno dei riferimenti fondamentali della simbologia sacra. La liturgia della Chiesa cattolica prevede l'impiego dell’olio, oltre che nell'alimentazione di lampade votive, in ben quattro sacramenti: Battesimo, Cresima, Ordine Sacro – o consacrazione del sacerdote – e unzione degli infermi, che nel caso dei moribondi prende il nome di Estrema Unzione. Il Messia, il Cristo, è unto dal Signore. Dal racconto riguardante il diluvio universale si riporta: "Di nuovo Noé fece uscire dall'arca la colomba, la quale tornò a lui verso sera; ed ecco essa aveva nel becco una foglia fresca d'ulivo" (Genesi, cap. VII e VIII). Per questo motivo l’ulivo è il simbolo della rigenerazione perché, dopo il diluvio, la terra tornò a fiorire e diventò anche simbolo di pace perché attestava la fine del castigo e la riconciliazione di Dio con gli uomini. Ancora oggi è presente nella liturgia della Domenica delle Palme.

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La domenica delle palme, Varenna, 1987.



Ulivo - emblema di pace, forza, fede, trionfo, vittoria, onore.

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Bibliografia

Borelli G., Corti R., Fontanazza G. Olivae Larius - Il Lario dell’Olivo. Natura e Storia – 42 - Comunità del Lario Orientale, 2008.

Brembilla G., Brembilla R., Colombo G. e Granatelli S. – Breva e Tivano Motori Naturali - Associazione Culturale “L.Scanagatta”,1999.

Zastrow O., Affreschi romanici nella Provincia di Como, Stefanoni Lecco, 1984.

dal WEB

http://www.oplatium.it/l-olio-di-roma/

http://www.museodellolivo.com/images/pdf/055_SchedaDidattica_6000_Anni_Storia_LR.pdf

https://www.monaconatureencyclopedia.com/olea-europaea/

https://www.floraitaliae.actaplantarum.org/viewtopic.php?t=32942

http://antropocene.it/2017/11/18/olea-europaea/

http://www.ulivita.it

https://www.ilgiorno.it/como/cronaca/produzione-olio-1.3434329


Recensione:

Segnalo che nel 2017 è uscito un nuovo libro a cura di Francesco Soletti dal titolo Olivi del Lago di Como - Tradizione e attualità dell’olio extravergine d’oliva Lario DOP. Edizione Newpress, 2017